Spacciatore di speranza

Un’onda di impegno civile attorno al libro di Roberto Mazzarella. Giovani e magistrati in prima linea nella lotta a Cosa nostra  
Roberto Mazzarella

«Questo la mafia non l’aveva previsto». Si chiude così L’uomo d’onore non paga il pizzo, (Città nuova ed.). Non aveva previsto la nascita di Addiopizzo. Non aveva previsto l’espulsione di Confindustria Sicilia degli imprenditori conniventi. Sicuramente non aveva previsto che il libro di Roberto Mazzarella avrebbe raccolto un consenso così diffuso.

Roberto Mazzarella, giornalista dalla barba folta, e dall’accento palermitano strascicato, si appassiona raccontando degli innumerevoli incontri con studenti e magistrati.

 

Serve ancora parlare di mafia?

«Ai giovani interessa molto. Non vogliono un capopopolo o un maestro, prestano attenzione solo ai testimoni, a chi si sporca le mani e dubitano di chi ha fatto dell’antimafia un lavoro. Questi ragazzi sono più consapevoli, maturi e hanno la voglia e la determinazione di impegnarsi seriamente per la propria terra».

 

C’è una domanda ricorrente?

«Mi chiedono sempre: cosa posso fare nella mia città? Cercano radicalità e non diplomazia. La legalità non è gratuita, ha un prezzo che va dal dare la vita in giù. Gli propongo un modo d’agire, che io stesso ho imparato da Libero Grassi, l’imprenditore ucciso. Lui diceva: “Io con un mafioso non prendo neppure un caffè”. Questa è la linea al di sotto della quale, li invito a non scendere mai».

 

La mafia oggi è meno potente?

«Non so se la mafia sia meno potente, posso dire però che noi siamo più forti. Lo siamo numericamente, perché i mafiosi sono solo il 5 per cento della popolazione, lo siamo perché si denuncia, perché si prova a sostenere con gli acquisti chi non paga il pizzo. Nel mio libro dico che solo una cultura eticamente superiore, che ha cura dell’altro, l’avrà vinta sulla mafia. Lo dico ai ragazzi, l’ho detto alle mamme dello Zen, nell’anniversario di Capaci».

 

Belle parole. Ma allo Zen di Palermo c’è un’altra logica…

«Guarda se lo Zen, da quartiere a rischio diventa comunità dove ci si prende cura dei problemi degli altri, avremo il coraggio di dire “no” anche a chi ti propone la spesa in cambio di un voto. Perché l’antimafia non la fa chi ha la pancia piena. L’antiracket senza legalità quotidiana fallisce perché sono libero dal pizzo, ma non posso essere libero dalle tasse. E i ragazzi capiscono, concordano.

A Catania, la presidente di un’associazione antiracket mi ha apostrofato come spacciatore di speranza. Io, semmai, sono uno spacciatore di certezze».

 

Spacci certezze sulla sconfitta della mafia?

La mia sicurezza nasce da un’esperienza dolorosa. Dopo le stragi del ’92, anch’io ho pensato come il giudice Caponnetto: «È finito tutto». Mi sono dovuto reinventare la speranza. Nel travaglio, è stata importante la corrispondenza con Chiara Lubich che mi ha trasmesso grande speranza e fiducia. Ho compreso che una comunità dove si vive gli uni per gli altri può mettere all’angolo il prepotente, il raccomandato, quello che sistematicamente parcheggia in doppia fila infischiandosene degli ingorghi, ma anche il medico che ti fa sconti sulla prestazione se non chiedi la fattura. Sono i no a questi atti più o meno piccoli, ma fatti insieme che metteranno in crisi anche la zona grigia e non solo la mafia.

 

Ancora un giornalista che parla di pizzo, perché?

La comunicazione è il modo con cui io posso servire la mia città. E l’ho fatto mettendomi in ascolto, anzi mettendo l’orecchio proprio sul suo cuore per cogliere i battiti nuovi. Poi ho raccolto le storie di chi ci sta provando ogni giorno a dire di no al racket. L’altra settimana, in un incontro pubblico ero a fianco di Pina Maisano, la vedova di Libero Grassi. Mi incalzavano sui tanti problemi della nostra città: il lavoro, la casa, la corruzione, il voto di scambio. Ma come si fa a dire che accetto una busta della spesa in cambio di un voto di fronte a una donna che ha perso il marito, il padre dei suoi figli, a cui sono stati rubati gli affetti più belli? Tutti si sono ammutoliti.

 

Ritorniamo alla legalità del quotidiano…

Proprio così. Ci vogliono gesti forti più o meno piccoli, ordinari, ma fatti da tutti. Non basta la magistratura. Io stesso quando ho scritto il libro ho selezionato le storie degli imprenditori. Il discrimine? Va bene non pagare il pizzo, ma con le tasse come va? Questa è stata la mia azione politica per la città, non solo un’azione antimafia.

 

Il libro sta mettendo in rete magistrati, forze dell’ordine, studenti, semplici cittadini suscitando molti dibattiti…

Per me è un’esperienza inaspettata. Oltre alle iniziative pubbliche anche su facebook, L’uomo d’onore sta suscitando forum di discussione, post di apprezzamento, inviti. Sembra che persino la regione Toscana inserirà il libro in un progetto di formazione alla legalità per le scuole. E’ un tempo che esige meno pigrizia e più generosità in cui la voglia di impegno cresce e contagia. Questo mi fa dire che il sangue versato da tanti in questi anni bui nasconde un disegno e non è stato vano.

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