Sovranità, sovranismi e il ritorno dello Stato

"Controllare e proteggere – Il ritorno dello Stato”, il contributo del sociologo Paolo Gerbaudo sul ritorno dello Stato come protagonista politico
Stati
(Foto: Pixabay)

Per oltre trent’anni, dalla caduta del muro di Berlino nel 1989 fino a nostri giorni, abbiamo assistito in Occidente alla contestuale azione di due grandi processi: da un lato un arretramento del ruolo dello Stato in economia con più spazio al libero mercato – con deregolamentazione e privatizzazioni –, e dall’altro ad una sempre maggiore connessione ed interdipendenza economica fra molti stati – la globalizzazione.

Con la pandemia ed il ritorno della guerra nel cuore dell’Europa sembra che si sia invertita la rotta. Lo Stato, rimasto a lungo sullo sfondo, è ritornato protagonista, come abbiamo sperimentato nella gestione della pandemia, ad imporre norme sanitarie stringenti e fornire sussidi a persone e imprese per attenuare lo tsunami economico che l’emergenza sanitaria ha portato con sé.

Contemporaneamente, a causa del brusco rallentamento dei flussi di merci dalla “fabbrica Cina” – inceppata dai lockdown – e con lo scoppio della guerra in Ucraina – con cui si è posto il tema delle forniture di gas –, si sono allentati storici legami alla ricerca di margini di autonomia.

Questi macro-fenomeni, insieme agli effetti dei cambiamenti climatici, hanno spinto molti analisti a parlare di “fine della globalizzazione” e di “nuovo ordine mondiale”.

L’agenda politica occidentale è decisamente cambiata: e lo possiamo osservare tanto nelle scelte del democratico Biden negli Stati Uniti, quanto nell’orientamento sovranista di Giorgia Meloni. Cambiano i tempi e cambiano anche le parole-chiave del discorso politico contemporaneo.

E proprio sul lessico che esprime l’odierno zeitgeist si concentra il contributo del sociologo Paolo Gerbaudo, nel suo recente saggio “Controllare e proteggere – Il ritorno dello Stato” uscito per l’editore nottetempo.

La tesi di fondo dello studioso italiano è che finita l’era “neoliberista” in cui si affidava al mercato il ruolo di protagonista nella gestione dell’ordine internazionale; ci troveremmo all’inizio di un’era “neostatalista” che esprime nuove priorità e domande sociali a cui i partiti offrono risposte differenziate, ma pur sempre basate su un forte ritorno dell’azione dello Stato.

La parola-chiave che molte ne riassume, anche se declinata concettualmente e concretamente in modi diversi, è sovranità.

La sovranità, ricorda Gerbaudo, riguarda la natura e l’estensione del potere dello Stato. Nella sostanza già i classici della filosofia antica – Platone ed Aristotele – se ne erano occupati, anche se il termine in questione apparve in Francia nel sedicesimo secolo per opera del giurista Jean Bodin.

Il termine sovranità può rappresentare la dominanza “territoriale”. Ed è la connotazione amata a destra, che ne fonda il controllo dei confini e le conseguenti politiche migratorie, con l’obiettivo di preservare le identità e la coesione nazionale.

A sinistra invece la sovranità preferita è quella “popolare”, che risponde al bisogno di controllo democratico sugli eccessi delle oligarchie economiche. E allo Stato si chiede di riprendere in mano le redini dell’economia per garantire l’interesse generale.

Secondo Gerbaudo «tutti sono diventati sovranisti», chi a livello locale (come alcuni movimenti ecologisti), chi a livello nazionale (si pensi alla Brexit e ai movimenti di uscita dall’Unione Europea), chi a livello continentale (basti pensare alle politiche di tetto al prezzo del gas).

Come abbiamo imparato negli anni recenti, la sovranità può essere “alimentare”, “tecnologica” ed “energetica”, premessa a nuove forme di presunta indipendenza che possano garantire un certo grado di sicurezza nei sopramenzionati ambiti. Sovranità spesso declinata in sovranismo, per la centralità tematica in alcune forze e movimenti politici.

La sicurezza si presenta come il termine-gemello di sovranità, ed è lo sfondo cui si orientano il bisogno e gli strumenti di controllo e protezione richiesti dai cittadini occidentali; e messi in campo, con enfasi diverse, dalle forze politiche che governano gli Stati.

Come per la sovranità, la protezione assume caratteri diversi a seconda degli orientamenti politici.

A destra diventa “welfarismo nativista” quando difende lo stato sociale (ad esempio sulle pensioni), oppure “protezionismo proprietario” laddove la difesa della proprietà rappresenta il mantra contro politiche tributarie redistributive favorendo basse tassazioni a ricchi e imprese.

A sinistra si manifesta come “socialismo protettivista”, in cui la protezione preferita è soprattutto di tipo sociale e ambientale, nella garanzia di servizi pubblici efficienti a tutti i cittadini, nella protezione di alcune fasce deboli della popolazione.

Convergenze trasversali si trovano nel protezionismo commerciale, rispetto all’applicazione di dazi su merci di settori esposti al dumping sociale e ambientale.

Se l’obiettivo è quello di creare nuovi sistemi di protezione, diventa necessario dotarsi di nuovi strumenti di controllo, per fornire allo Stato la capacità di attuare le proprie scelte su cose, persone ed eventi. Lo abbiamo sperimentato storicamente sull’ordine pubblico e nel fisco, più recentemente sull’immigrazione e sulla pandemia, il controllo è declinato come pianificazione nelle politiche di transizione ecologica.

Dal lato dei cittadini il controllo può essere percepito come democratico, ovvero una sovranità espressa attraverso processi di maggiore partecipazione, che tuttavia richiedono un aggiornamento delle istituzioni per renderla effettiva anche sul piano di accesso alle conoscenze, laddove si creano fratture fra esperti e popolo.

Si chiede infine Gerbaudo: siamo ad un bisogno di “autarchia” per un eccesso passato di “eterarchia”? C’è insomma la necessità di recuperare spazi di autonomia in un mondo troppo connesso che espone a ricatti e minacce reciproche?

Le scelte politiche del presente sembrerebbero rispondere affermativamente alle domane poste. Rimane tuttavia da capire come le nuove esigenze di sovranità si possano coniugare con l’affrontamento di problemi di scala e prospettiva globale.

La metafora di usata da Gerbaudo è quella di un mondo di «penisole»: effettivamente, rende bene l’idea di un percorso accidentato fra la legittima esigenza di agire un proprio percorso autonomo di Stati-nazione e l’opportunità di legarsi ad altri Stati per un percorso mutualmente vantaggioso.

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