Sotto le nevi del Kazbegi
Alla frontiera con la Russia, un’artista silenziosa dipinge icone come se intessesse fili d’oro e d’argento.
È un’artista, una pittrice e scultrice, un’arredatrice e chissà cos’altro. Abita ad Arsha, piccolo borgo montano tra Sioni e Kazbegi, nel Caucaso georgiano, alla frontiera con la Russia. La frontiera è chiusa, i rapporti tra il gigante euro-asiatico e il piccolo e povero Paese dove nacque Stalin sono deteriorati dopo le vicende dell’Ossezia del Sud e dell’Abcasia. Due Paesi che si son fatti la guerra un paio d’anni fa.
Ma i paesaggi sono incantevoli, quando lo sguardo si leva verso il cielo, il Kazbegi domina la valle con la sua mole possente e gentile che s’avventura oltre i 5 mila metri d’altezza. Mentre la natura circostante griderebbe bellezza, il contesto urbano risulta, come troppo spesso da queste parti, degradato.
Coi miei amici siamo sfiniti da un lunghissimo tragitto in auto che ci ha portato, attraverso strade polverose e sconnesse, dalla isolata ma affascinante regione montagnosa di Tusheti, alla frontiera con la Cecenia; parrebbe molto più saggio andare a riposare, dopo sette ore di curve, sballottamenti e frenate. Ma che ci faccio allora qui, in questa stradina polverosa, in questo cortile conquistato dalle erbacce, coi muri che perdono pezzi di intonaco, ringhiere arrugginite e panche traballanti?
Entro. Musica giusta, di qui e d’altrove, d’ovunque. Arredamento spartano ma di gran gusto, e caldo, intimo. Scopro così un piccolo angolo di paradiso in cui regna – e non può essere che così per una regina come lei – la sovrana dell’armonia, del dettaglio sapiente e del tocco dorato, degli angeli felici e di chi vorrebbe essere angelo. Lisiko Chqareuli e sua sorella Marina: la prima dipinge quadri e icone, la seconda cuce coperte multicolori, cappelli caldi e morbidi e belli, gilet. I loro prodotti – pardon, le loro opere – raccontano il Caucaso georgiano e la montagna impervia, la fede e la felicità, tutto il mondo e tutto l’universo.
E tutto ciò in un contesto impossibile per un’artista. Ma l’arte non è forse il saper reinventare il mondo? Non è trovare la possibile armonia nei contesti meno armonici che si possano immaginare? Arte non è crescere dentro, nel cuore e nell’anima, al punto da dover esporre, da dover irraggiare la propria ispirazione? Lisiko me l’insegna.
Nata a Kazbegi, Lisiko ha frequentato e superato a pieni voti l’Accademia d’arte a Tbilisi, specializzandosi poi in arte sacra. Nei primi anni dopo gli studi, ha dipinto la bellezza di 300 miniature che hanno illustrato il Vangelo di Marco: «Faccio arte sacra non perché io l’abbia deciso, ma perché Dio ha deciso per me. Non pensavo di dipingere cose da chiesa, ma poi non ho più potuto farne a meno».
Mi incuriosisce i sentimenti che l’animano quando dipinge un’icona: «Avverto – mi spiega – una particolare responsabilità e il desiderio chiaro di dipingere sempre meglio, con perfezione direi. Dalla indeterminatezza della materia grezza, che a modo suo è già una perfezione, mi esalta, artisticamente parlando, tirarne fuori una piccola, modesta perfezione».
Dopo qualche anno trascorso nella turbolenta Tbilisi, Lisiko è tornata qui nella valle di Kazbegi perché è stata chiamata a dipingere la chiesa di Arsha. Ma poi c’è rimasta: «Le condizioni per lavorare qui sono eccellenti, perché c’è calma e non si è oppressi dalla quotidianità della vita di città, anche se per certi versi la vita di montagna è certamente più dura, aspra, solitaria. E non c’è lavoro da queste parti, c’è un’immensa disoccupazione per cui i giovani se ne vanno tutti, o quasi, in città, in cerca come si dice di fortuna. Io, invece, ormai ho un giro di amici e conoscenti, di clienti, che mi consente di arrivare regolarmente alla fine del mese con le mie produzioni».
Sto arrivando da una regione come Tusheti, dove il c ristianesimo è arrivato solo all’inizio del XX secolo, cosicché le reminescenze di culti pagani – sacrifici animali, formule astruse, esaltazione delle forze della natura – si mescolano con la fede nel Cristo. E qui? La religione quassù a Kazbegi è interamente cristiana o restano reminescenze pagane? «Qui siamo cristiani, punto e basta – s’offende Lisiko –. Il patriarca della Chiesa ortodossa georgiana, Ilia II, non a caso è nato qui accanto, a Sno, in un contesto cristiano al 100 per cento. Egli afferma, ad esempio, a proposito dei tanto criticati sacrifici animali che si definiscono pagani, che se gli animali vengono poi condivisi su una tavola diventano non più un’idolatria ma un servizio ai cristiani».
Dal portico della casa delle sorelle Chqareuli si notano tanti pali della luce, ma nessuno perpendicolare al suolo; case senza intonaco e, purtroppo, tutte coi tetti di eternit e di amianto, per gran danno del paesaggio e della salute; vecchie serre in disuso; mucchi di materiale di riporto; un paio di vagoni ferroviari trasformati in qualcosa di simile a un’abitazione; campi allo stato brado, salvo qualche campo di patate; vecchi camion di epoca sovietica in rottamazione; covoni di paglia come non se ne vedono da noi da cinquant’anni; fili elettrici d’ogni genere sospesi in ogni dove, a formare grovigli inverosimili. E montagne e montagne e montagne. Alte maestose minacciose.
L’atelier di Lisiko e Marina profuma di lana e di unguenti, di incenso e di latte. Qui il tempo si ferma e la bruttura muta in bellezza. Sembra che ci si elevi sulle cime innevate della catena del Caucaso, per osservare quel che non muore.