Sotto il segno di misericordia, perdono e giustizia
Il Giubileo della misericordia appena inaugurato è in realtà un triplice appuntamento, un triplice reset delle nostre esistenze personali e collettive: nel segno della misericordia che è perdono e che è giustizia. La misericordia che viene dal perdono e dalla giustizia. Della misericordia che porta al perdono e che porta alla giustizia. Insomma, un “circolo ermeneutico”, come dicono i filosofi: ognuno di questi tre elementi spiega gli altri, genera gli altri due e prende vita dagli altri due; ognuno si nutre degli altri due e a sua volta li nutre.
La giustizia è l’orizzonte dell’azione misericordiosa (io faccio giustizia solo se esercito la misericordia), ma nel contempo la giustizia pare la base per poter provare misericordia (altrimenti questa sarebbe falsa, una menzogna). Il perdono è ponte tra misericordia e giustizia, perché la misericordia non porta alla giustizia se non c’è l’atto della rottura e del disarmo delle proprie avversità che si chiama perdono. E contemporaneamente la giustizia non può dar vita a nessuna misericordia se non c’è perdono, resterebbe fredda virtù sociale senza il calore della condivisione della sofferenza.
E via dicendo, ognuno può fare i suoi esercizi con questi tre elementi rimessi in luce dal Giubileo. Sapendo che questi tre pilastri del convivere sono atti a scacciare la paura razionale o irrazionale di questi tempi di terrorismo e di globalizzazione anonima. La misericordia mira a sublimare la paura dell’altro, visto come un peccatore simile a me nella capacità di peccare; la giustizia contiene da parte sua la paura che viene dall’ingiustizia, che provoca nella vittima una spinta alla vendetta mentre nell’autore dell’ingiustizia suscita il timore di una reazione di chi ha subito le mie ingiustizie; il perdono disarma il cuore mio senza pretendere che l’altro faccia altrettanto, ma “bastandosi”, “pacificandosi” per aver generato il disarmo di una relazione.