Sostenere i giovani politici
Maria Voce incontra sindaci e politici dei Territori Palestinesi, a Betlemme. Grande consonanza di idee e prospettive di pace
Betlemme conosce momenti di relativa calma di questi tempi. Il turismo, l’unica vera risorsa della città, vive in effetti un periodo positivo. «È l’entrata economica migliore della Palestina – mi dice il ministro per il turismo, la signora Khouloud Daibes, una cristiana –, sono circa 2 milioni e 300 mila quelli che passano qui dalla Natività e negli altri luoghi santi dei Territori palestinesi. Purtroppo solo un milione e 400 mila sono le notti di pernottamento a Betlemme e dintorni, il che testimonia come la stragrande maggioranza dei profitti del turismo, circa il 90 per cento, rimangano in Israele. Abbiamo pochi soldi e le risorse sono limitate per migliorare le infrastrutture che sono ancora molto carenti». La ministro continua nella sua disamina della situazione: «Non ci possono essere prospettive durature – abbiamo ad esempio circa il 20 per cento di disoccupati, e i nostri stipendi sono molto bassi –, anche in campo economico, se non ci si immette con decisione nella via delle soluzioni politiche. È tempo anche per Israele di ricostruire rapporti corretti con le popolazioni locali, ne va dei loro stessi interessi. Non si può costringere la gente alla disperazione, oltre che alla disillusione».
Da parte sua, Ziad Al-Bandak, consigliere del presidente per i rapporti con i cristiani del governo palestinese, rincara la dose: «Serve rispetto per i palestinesi, questa è la verità della situazione palestinese. Siamo continuamente umiliati, e questo alla lunga non può essere accettato. Serve rispetto per noi palestinesi, tutti quanti, quindi anche per i cristiani, che cominciano anche nei Territori ad avere un po’ la sindrome della minoranza. È vero, sono solo il 2 per cento, quando nel 1948, alla nascita dello Stato di Israele, erano ben il 20 per cento. Ci sono leggi che li proteggono – ad esempio dieci sindaci “debbono” essere cristiani, così come uno o due ministri –, ma non basta. E la difficoltà che la Palestina ha con Israele ricade ovviamente anche su di loro».
«Se ci fosse la pace qui in Palestina – aggiunge il sindaco di Betlemme, Victor Batarseh –, tutto il mondo arabo vivrebbe nella pace. I recenti sommovimenti in tanti Paesi arabi, qui non hanno suscitato che poche manifestazioni di solidarietà, generalmente rivolte a spingere i politici locali alla concordia più che a invocare libertà. Perché qui da noi la democrazia esiste sul serio, è l’unico Paese arabo a poterne godere. La nostra democrazia è laica e libera, per quanto possiamo dirci liberi con un muro che circonda i nostri territori!».
È in questo contesto, purtroppo ben conosciuto, che Maria Voce, presidente dei Focolari, si incontra con alcuni politici e amministratori locali dei Territori palestinesi, cristiani e musulmani, su iniziativa della Fondazione Giovanni Paolo II, che dal 2007, da un’idea di padre Ibrahim Faltas, già superiore del convento annesso alla Basilica della Natività in particolare nel periodo dell’“assedio”, ha investito notevoli energie – con il contributo di tante istituzioni pubbliche e private soprattutto italiane, quali Cei, Provincia di Trento, Regione Toscana, Acli… – per riuscire, attraverso i suoi programmi, a fornire conoscenze, risorse e infrastrutture per lo sviluppo sia a livello individuale e comunitario della Palestina. Padre Ibrahim sottolinea la straordinaria sintonia che esisteva tra Giovanni Paolo II e Chiara Lubich, «al punto che quest’incontro oggi è più che necessario».
Maria Voce ha da parte sua sottolineato la sua gioia di «condividere con chi ha in mano le sorti di questo mondo i nostri ideali di fraternità». Una fraternità che in politica vuol dire fare in modo che la gente si senta apprezzata e appoggiata da chi gestisce la cosa pubblica. Perché, come diceva Chiara Lubich, «la politica è l’amore degli amori». Il sindaco di Betlemme ha immediatamente voluto notare «come gli ideali dei Focolari siano anche i nostri. Sono spinte che possono portare ad abbattere quei muri che dividono queste terre. Non tanto e non solo i muri materiali, quelli visibili, ma soprattutto quelli invisibili
Padre Ibrahim ne è convinto: «Qui dal dolore immenso del popolo sta nascendo una generazione di giovani responsabili, che vogliono la pace e che sembrano essere capaci anche di gestire il potere. Bisogna però che la comunità internazionale, sia quella civile che quella politica, sia loro vicina, apra spiragli di vera pace e li sostenga, anche grazie ad iniziative come quelle finanziate dalla fondazione, che opera nel campo dell’istruzione, della promozione sportiva e culturale, del giornalismo, dell’artigianato. Certamente le iniziative di una pace che definirei “profonda”, come quelle dei Focolari, sono essenziali per continuare a sperare».