Sos bottega grafica
Il progetto dell’Istituto penale minorile di Treviso rischia un radicale ridimensionamento in seguito ai tagli regionali. La soluzione? Una collaborazione del Triveneto
Forse la “colpa” è il fatto di essere “troppo piccola”: la bottega grafica del carcere minorile di Treviso, emanazione dei corsi professionali tenuti dall’Engim Veneto (ente di formazione dei padri Giuseppini del Murialdo), occupa attualmente 13 ragazzi – su oltre una ventina, ospitati in una struttura con una capienza di 14 persone. E forse proprio per questo rischia di essere ridimensionata. Da cinque anni, la bottega consente ai ragazzi di mettere in pratica ciò che apprendono, realizzando gratuitamente loghi, brochure e manifesti per enti ed associazioni del terzo settore.
Rischio chiusura Un progetto che è riuscito a dare un’alternativa seria al crimine, tanto che «alcuni hanno continuato a lavorare per associazioni di volontariato – racconta Christine Gaiotti, responsabile della bottega – oppure sono tornati con successo a scuola». Sinora la bottega è stata sostenuta interamente dalla regione Veneto e da alcune “borse di lavoro”; ma ora Venezia non ha più le risorse per i corsi che ne stanno alla base. L’assessore all’istruzione, Elena Donazzan, ha dichiarato a Città Nuova che la regione «sta cercando di trovarle tra le pieghe del bilancio, ma si tratta di un investimento impegnativo per noi in rapporto al numero esiguo di ragazzi coinvolti: la somma necessaria potrebbe essere trovata grazie ad enti e associazioni». I fondi attualmente stanziati sono sufficienti fino a settembre; poi «non potremo più dare ai ragazzi la formazione necessaria a lavorare – prosegue la Gaiotti – e continueremo con 3 o 4 persone al massimo». I tagli hanno toccato tutti i corsi, che forniscono attestati spendibili nel mondo della scuola o del lavoro: «Abbiamo già avuto un contributo da una banca – riferisce padre Renzo, responsabile regionale dell’Engim – ma siamo alla ricerca di sponsor nel territorio».
Servono testimonianze positive Il ridimensionamento, secondo la responsabile, potrebbe avere ripercussioni a lungo termine sul recupero dei ragazzi: «La bottega è una scusa: l’obiettivo è dare una professionalità, dettare regole, far sentire utili. Per questo cerchiamo di coinvolgere a turno tutti i ragazzi, cosa che non sarà più possibile dopo i tagli». Questo lavoro è certamente un input per evitare di ricadere in quelle reti che li hanno portati in carcere, e che spesso li attendono all’uscita: «Abbiamo bisogno di testimonianze positive, quelle negative le hanno già avute – sottolinea la Gaiotti – e in questo senso l’integrazione con in mondo del volontariato è fondamentale». Alcuni di loro mantengono i contatti con questi enti anche a fine pena: un ragazzo, originario di Milano, ha deciso di trasferirsi a Treviso sia per le relazioni professionali che per quelle umane, instaurate durante la formazione. Inoltre chi esce aspetta chi ancora è dentro, fungendo da “tutor” nella reintegrazione.
L’impegno del Triveneto In tutto questo c’è un ma. L’Istituto penale minorile di Treviso serve tutto il Triveneto: logica vorrebbe che anche le province autonome di Trento e Bolzano e la regione Friuli Venezia Giulia dessero il loro contributo. Infatti è questa la strada che si sta cercando di intraprendere: «Eppure – riferisce la Gaiotti – quando abbiamo parlato con gli assessori provinciali di Trento e Bolzano, particolarmente sensibili alla questione, mi sono parsi quasi stupiti che dei minori del loro territorio fossero ospitati nelle nostre strutture». I responsabili del progetto hanno invitato i rappresentanti di queste istituzioni venerdì 29 luglio alla presentazione di uno dei lavori realizzati dalla bottega, per valutare con l’occasione la possibilità di una condivisione degli oneri . L’assessore Donazzan, che si dice convinta della bontà del progetto e dell’opportunità di sostenerlo, vede nella visita all’Istituto soprattutto l’occasione per «valutare, più che proporre: finché non sarà approvato il bilancio, non posso fare di più».
Più ottimista l’assessore trentino, Marta Dalmaso: «Nel programma annuale di formazione professionale che sarà a breve approvato con le parti sociali – afferma – si legge specificatamente che “per i giovani trentini accolti nell’Istituto penale minorenni per il Triveneto, è possibile attivare da parte delle istituzioni formative provinciali rapporti di collaborazione per la realizzazione di percorsi di formazione professionale”. Formazione che può essere attuata anche da enti del posto, per cui è una strada che è possibile intraprendere». Da parte dei responsabili del progetto, afferma la Gaiotti, l’unica aspettativa «è che le istituzioni prendano coscienza di ciò che stiamo facendo qui. Non è una guerra tra poveri, conosciamo le difficoltà di bilancio, ma unendo le forze si può trovare una soluzione». Tenendo conto dei cavilli burocratici, l’autunno è troppo vicino perché i corsi possano già beneficiare di un eventuale accordo: la speranza è che entro il prossimo anno possano ritornare i fondi regionali, contando nel frattempo sull’aiuto di associazioni e fondazioni.
La bottega grafica ha un altro appello da lanciare all’esterno: «Dateci lavoro – chiede la Gaiotti –: i ragazzi hanno bisogno di pensare, di sentirsi protagonisti. Con i minori, purtroppo, si lavora ancora poco: ma è lì che bisogna seminare, perché una volta adulti non vengano persi».