Il sorriso speciale di Aries

Nella capitale del Regno Unito proseguono con successo i mondiali di atletica leggera. Quindici i titoli sin qui assegnati. Tra conferme, sorprese, e qualche risultato dal sapore tutto particolare
Aries Merritt

In questi ultimi giorni a Londra sembra che l’orologio del tempo sia tornato indietro di cinque anni. Almeno nella zona del Queen Elizabeth Olympic Park, il complesso sportivo situato nell’East London che è stato il vero e proprio cuore pulsante dei Giochi olimpici del 2012. Il parco, intitolato alla regina Elisabetta II a commemorazione del suo giubileo di diamante, pullula di appassionati sportivi che, da venerdì scorso, stanno facendo registrare il quasi tutto esaurito all’interno dello stadio Olimpico.

Qui, nell’impianto che dallo scorso anno ospita le partite casalinghe della squadra calcistica del West Ham, si stanno svolgendo infatti i sedicesimi campionati mondiali di atletica leggera, e l’entusiasmo è davvero alle stelle. Sembra, appunto, di riassaporare quei momenti di grande festa e di intensa partecipazione collettiva vissuti in occasione delle Olimpiadi. Il pubblico assiste alle competizioni con competenza e passione, raggiungendo picchi di vera e propria esaltazione quando scendono in pista o in pedana gli atleti britannici.

10.000 metri

Come accaduto proprio nella giornata di apertura di questa rassegna iridata, quando un boato durato venticinque giri ha accompagnato la corsa di Mo Farah, vincitore della medaglia d’oro nei 10.000 metri al termine di una gara bellissima. Hanno provato a batterlo in ogni modo.

Soprattutto gli atleti africani, che per riuscirci hanno messo in atto una strategia di gara fatta di continui strappi, frenate e ripartenze. Il tutto, per cercare di fiaccare la resistenza del campione britannico (di origine somala), notoriamente dotato di una progressione finale irresistibile. Ma non c’è stato niente da fare.

Già ai Giochi di Londra del 2012 Farah infiammò il pubblico di casa con due vittorie (5.000 e 10.000 metri) che ne hanno fatto uno degli atleti simbolo di quelle Olimpiadi. Doppietta poi ripetuta anche ai mondiali del 2013, a quelli del 2015, e ai Giochi a cinque cerchi disputati la scorsa estate a Rio. Ora con tutta probabilità lo rivedremo impegnato nella finale dei 5.000 metri (in programma sabato 12 agosto alle 21.20), per quella che, almeno secondo i suoi programmi, dovrebbe essere l’ultima gara in pista prima del definitivo passaggio alla maratona.

100 metri

Nello stadio olimpico le emozioni sono poi continuate sabato e domenica con le finali della regina del programma di questo sport: i 100 metri. La gara che, nell’immaginario collettivo, proclama l’uomo e la donna più veloci del pianeta. E sono state due competizioni davvero elettrizzanti, ricche di colpi di scena, risolte sul traguardo solo sul filo dei centesimi di secondo. Due prove in cui gli Stati Uniti sono tornati al successo dopo essere stati costretti a cedere il loro scettro, per oltre un decennio, ai velocisti e alle velociste provenienti dalla Giamaica. Due gare in cui il pubblico presente si è fatto davvero sentire.

In particolare, non sono passati inosservati i boati di disapprovazione verso il vincitore della competizione maschile, quel “chiacchieratissimo” Justin Gatlin, che un po’ a sorpresa ha battuto l’idolo indiscusso degli appassionati di questo sport, sua maestà Usain Bolt. «Non abbiamo assistito al finale previsto – ha dichiarato il presidente della federazione internazionale di atletica Sebastian Coe –. Gatlin ha tutto il diritto di gareggiare (la sua squalifica è terminata nell’ormai lontano 2010, ndr), ma non sono entusiasta nel vedere che a vincere il mondiale dei 100 metri, nel giorno dell’addio alle piste di Bolt, sia stato un velocista squalificato per due volte per doping».

Una durissima (e da qualcuno non troppo apprezzata) presa di posizione, giunta al termine di una gara comunque incertissima, in cui il trentacinquenne portacolori degli Stati Uniti ha prevalso sugli avversari fermando il cronometro a 9”92, davanti al connazionale Christian Coleman (9”94) e allo stesso Bolt (9”95).

Così come incertissima, e con un finale altrettanto sorprendente, è stata la finale femminile di questa specialità. Tutti, infatti, davano per favorita la giamaicana Elaine Thompson, la campionessa olimpica in carica che dopo un’ottima prova in semifinale vinta con un tempo che, se ripetuto poco dopo in finale, le avrebbe garantito la conquista del titolo iridato), si è improvvisamente spenta nell’atto conclusivo che ha visto il successo di misura della statunitense Tori Bowie in 10”85. La sprinter americana, con una gara in rimonta e con un tuffo sul traguardo, ha preceduto di un solo centesimo di secondo l’ivoriana Marie Josée Ta Lou, con la Thompson giunta “solo” quinta superata anche dall’olandese Dafne Schippers (bronzo) e dall’altra ivoriana Murielle Ahoure.

Disco

Due vittorie, quelle di Gatlin e della Bowie, ottenute davvero “sul filo di lana”. Eh già, una gara mondiale si può vincere o perdere per pochissimi centesimi di secondo, ma anche … per pochissimi centimetri. È quello che è accaduto ad esempio nel lancio del disco maschile, specialità in cui il favorito della vigilia, lo svedese Daniel Stahl, è stato superato per soli due centimetri dal lituano Andrius Godzius (69 metri e 21 centimetri la misura del vincitore).

Salto

Due, sono anche i centimetri che alla fine hanno diviso le migliori interpreti del salto triplo, la ventunenne venezuelana Yulimar Rojas (presentatasi in pedana con una curiosa capigliatura verde), e la più esperta colombiana Caterine Ibarguen, trentatreenne campionessa olimpica in carica cui non è bastato saltare la ragguardevole misura di 14 metri e 89 centimetri per aggiudicarsi la medaglia d’oro. Quattro, invece, i centimetri di differenza tra il sudafricano Luvo Manyonga, vincitore del salto in lungo con un salto di 8 metri e 48 centimetri, e lo statunitense Jarrion Lawson, che si è dovuto “accontentare” dell’argento.

Eptathlon

Altre gare, invece, hanno visto la netta affermazione di atleti che, a soli dodici mesi di distanza dai giochi a cinque cerchi disputati in Brasile, si sono confermati come i migliori interpreti delle loro rispettive specialità. Nell’eptathlon, ad esempio, c’è riuscita la belga Nafissatou Thiam, una ragazza sempre sorridente che a Londra ha dominato le sette prove della sua “massacrante” disciplina sfoggiando una particolarissima chioma fatta di tante trecce d’argento.

10.000 metri

Nei 10.000 metri, invece, c’è riuscita Almaz Ayana, mezzofondista etiope che dopo due podi mondiali sui 5.000 metri (bronzo a Mosca 2013 e oro a Pechino 2015), è balzata definitivamente agli onori delle cronache proprio dopo la fantastica gara disputata su questa distanza a Rio, quando ha vinto la medaglia d’oro olimpica a suon di record del mondo. Sabato la Ayana, treccine nere e occhi scuri, ha ribadito la sua attuale superiorità sul resto della concorrenza, infliggendo alla seconda classifica un distacco di oltre quarantacinque secondi! E non stiamo parlando dell’ultima arrivata, ma di Tirunesh Dibaba, una che, tanto per intenderci, ha vinto ben otto medaglie d’oro tra Olimpiadi e campionati del mondo. «Il mio “doping” è il Signore», ha spiegato la religiosissima Almaz a chi le chiedeva spiegazione per prestazioni così performanti.

Aries

Sin qui, dunque, alcune conferme e qualche sorpresa stanno caratterizzando questa rassegna iridata di Londra 2017. Tra chi non è riuscito a salire sul podio, c’è comunque chi può “gioire” ugualmente. Atleti che, pur non avendo vinto una medaglia, torneranno a casa da questi mondiali con un sorriso “speciale”. Conoscete ad esempio la storia di Aries Merritt, lo statunitense che lunedì sera si è classificato quinto nei 110 metri ostacoli? Dopo aver conquistato l’oro ai Giochi di Londra 2012, il 7 settembre dello stesso anno questo ragazzo stabilisce a Bruxelles il nuovo record del mondo della specialità (12”80). Solo un anno dopo, durante i mondiali di Mosca 2013, Aries si accorge però che qualcosa nel suo corpo non va. Chiude comunque con un onorevole sesto posto, ma tornato a casa comincia ad avvertire sempre più stanchezza e affaticamento. Pochi giorni dopo, a Phoenix, si ritrova su un lettino d’ospedale, e la diagnosi non lascia spazio a dubbi: grave patologia renale. Dopo sette mesi di ricovero, con un rene la cui funzionalità è scesa ormai sotto il 15%, nel maggio 2014 Aries torna finalmente a casa, ma di allenarsi non se ne parla nemmeno. Al massimo, gli è consentita una piccola corsetta dopo la dialisi quotidiana.

Gradualmente Merritt comincia però a sentirsi un po’ meglio e, contro il parere dei medici, nei mesi successivi prova a riprendere gli allenamenti. Il suo obiettivo? Quello di partecipare ai mondiali di Pechino 2015, che si disputeranno appena pochi giorni prima dell’intervento, già stabilito, di trapianto del rene, operazione cui ormai non può sottrarsi. In Cina Aries incredibilmente gareggia, e addirittura vince la medaglia di bronzo. Poi, con la medaglia in valigia, torna subito in patria e si sottopone al trapianto del rene donatogli da sua sorella LaTonya. L’intervento va bene, ma ovviamente i dubbi su un’effettiva ripresa sportiva rimangono. Serve tempo per recuperare, e l’attività agonistica di questo ragazzo non può che risentirne tanto che, nonostante lo sforzo profuso, fallisce per un soffio la qualificazione alle Olimpiadi di Rio dello scorso anno. Quest’anno le cose vanno meglio. Aries riesce a qualificarsi per i mondiali londinesi, e anche se in finale rimane ai piedi del podio per soli tre centesimi di secondo, è contento lo stesso. Alla fine sorride, e a chi lo intervista a fine gara confida che già partecipare nuovamente ad una manifestazione così importante, dopo l’operazione subita, è un grande risultato. Per lui, e per le persone che in tutto il mondo sono state ispirate dalla sua storia.

 

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