Sorokin e l’amore altruistico
Le analisi sociologiche sono sempre state un po’ allergiche ai discorsi sull’amore. Se si tratta di sesso, non c’è problema. Le scienze sociali ne hanno interpretato le dimensioni patologiche, le forme devianti e quelle criminali, il consumo e le perversioni. Ma sull’amore come sentimento affettivo che porta alla relazione gratuita, al dono di sé, alla condivisione di un destino, le analisi sono state rare e timide. Tra le (poche) eccezioni, ce n’è una importante, che proprio in questi giorni è tornata ad essere divulgata sul mercato editoriale: lo studio sull’amore altruistico di Pitirim A. Sorokin. Questo sociologo russo, poco conosciuto in Italia (vent’anni fa c’era una sola voce autorevole a parlarne, quella di Tommaso Sorgi), a un certo punto della sua vita, nel bel mezzo di una carriera prestigiosa (divenne presidente dei sociologi americani) ha deciso di dedicarsi al tema più scottante e improbabile della sociologia della seconda metà del ventesimo secolo: l’amore altruistico. Immaginatevi la scena: in piena guerra fredda, durante lo scontro ideologico fra teorie sociali marxiste e quelle liberali, mentre infervoravano le discriminazioni razziali in tutto il mondo (compreso il contesto nordamericano, nel quale Martin Luther King stava avviando la sua battaglia), un so- ciologo, fra i più noti, cerca di convincere il mondo intero che a promuovere la storia e la civiltà è l’amore, altruistico gratuito e disinteressato. Per quale via è giunto a questa scelta originalissima? Non si è trattato di un improvvisa intuizione geniale. Sorokin è partito dalla domanda più ovvia che chiunque abbia la pretesa di capirci qualcosa sull’uomo e sulla società dovrebbe porsi: cos’ha l’essere umano di tanto speciale da metterlo in condizioni di fare cose strabilianti come lo stato, la civiltà, la vita associata? Da sociologo qual era, Sorokin ha rivolto la sua attenzione ai tratti generali della natura umana. Cos’hanno tutti gli uomini, indistintamente? Le teorie in voga erano tutte un po’ pessimistiche (Sorokin diceva sensiste): o immaginavano l’uomo come un lavoratore indefesso costretto a un’esistenza grama per sopravvivere, oppure lo pensavano in balìa a più o meno oscure forze storiche. O immaginavano l’uomo talmente bestiale da mettere continuamente in pericolo la sua esistenza, oppure lo facevano così infido da doversi governare col pugno di ferro. Sì, è vero che questi tratti sono presenti e visibili nella storia, ma come si può dire che sono universali? L’universalità è data da un qualche elemento davvero comune all’intera specie umana, disponibile immediatamente a ogni attore sociale, in qualsiasi condizione umana e sociale si trovi. La risposta di Sorokin fu l’amore altruistico. Qualunque sia il grado d’istruzione e la condizione professionale, indistintamente rispetto al genere sessuale e all’età anagrafica, a prescindere dal reddito individuale e dall’appartenenza etnica, per qualsivoglia ulteriore carattere distintivo, a tutti è dato di poter amare il prossimo, e tutti siamo molto più coinvolti in relazione d’amore altruistico che in relazioni conflittuali o d’odio. Il potere dell’amore è il volume che dimostra, sulle solide basi della ricerca sociale, come l’amore altruistico sia quell’energia vitale che sorregge le intricate trame del nostro vivere quotidiano, dalla salute fisica fino alle più elaborate forme di convivenza civile. È l’alimento più indispensabile per l’economia, la politica, la civiltà; è la forma suprema e universale di ogni relazione umana. Oggi si può tornare a Sorokin per l’azione compiuta dal gruppo di studio internazionale SocialOne – Scienze sociali in dialogo, guidato da Vera Araujo, convinto che le scienze sociali possono puntare in alto, tornando agli elementi fondanti della socialità, come la cooperazione, la solidarietà, l’amicizia, la fraternità, l’amore altruistico. PITIRIM ALEKSANDROVIC SOROKIN (1889-1968) visse da protagonista i drammatici eventi della Rivoluzione russa; arrestato per la sua opposizione allo zarismo nel 1911 e nel 1913, in seguito segretario del presidente Kerenskij, fu poi perseguitato sotto la dittatura leninista nel 1918 ed esiliato nel 1922. Nel 1923 si trasferì negli Stati Uniti per insegnare dapprima all’Università del Minnesota, quindi ad Harvard, dove fondò nel 1931 la Facoltà di Sociologia e successivamente l’Harvard Research Center for Creative Altruism. È da annoverare tra i massimi sociologi del secolo XX, ricevendo per la sua carriera accademica onori e riconoscimenti, tra cui, nel 1963, la presidenza dell’American Sociology Association.