Sopra e sotto le Alpi

Venite… si vedono le Alpi!, Allora uscivamo di casa e correvamo ad ammirare la lunga catena innevata. Accadeva nelle mattinate invernali più terse, quando la pianura era sgombra di vapori e lo sguardo poteva spaziare libero dalle colline bolognesi su su, fino all’Adamello e alla Vetta d’Italia. E noi ci buttavamo ad indovinare: Quello è certamente l’Ortles, quella è la Palla Bianca… si vede fino al Gross Glockner!. Di notte, in quegli anni di guerra, le Alpi ci proponevano un altro spettacolo assai più triste: le illuminavano i bagliori delle bombe sganciate lungo la strada per il Brennero. Per vedere da vicino quelle montagne dovetti aspettare tempi migliori. Allora attraversai la grande pianura per la prima volta e il treno mi portò sotto quella muraglia di roccia. Finalmente sapevo cosa voleva davvero dire la parola montagna. Fu un grande amore a prima vista che si alimentò con l’interesse per la natura, per la geografia, per la geologia. Sorprendente spettacolo quando le montagne appaiono come immense zolle sollevate dalle spinte tettoniche e rovesciate su sé stesse in modo da mostrare cosa nascondono al loro interno. E poi, fra le montagne si possono anche ammirare i più arditi manufat- ti dell’uomo: le lunghe gallerie, i viadotti che scavalcano le valli, le dighe che arginano immensi bacini idroelettrici, le funicolari che portano in alto, fra le vette, fin sopra le nuvole. Il problema di valicare le montagne è antico come la storia dell’uomo. Montagne che varcai – fa dire il poeta ad Alessandro Magno – dopo varcate/ più grande spazio di su voi non pare/ che maggior prima non l’invidiate. Dunque, grandi difficoltà ma anche un grande stimolo per andare più oltre nella conquista della conoscenza. Anche Annibale deve avere provato una siffatta sensazione quando portò i suoi elefanti attraverso le Alpi. Ma i valichi si chiudevano d’inverno. Quel grande arco di montagne che coronava l’Italia a nord si presentava come un immenso scudo difensivo, ma al tempo stesso costituiva un forte ostacolo alle comunicazioni con il resto dell’Europa. Come non pensare all’uomo preistorico restituito dal ghiacciaio del Similaun; ai cani San Bernardo con la botticella per soccorrere i viandanti che s’avventuravano fra le gole alpine nella brutta stagione? L’Italia restava infatti isolata per mesi. Finché non si pensò di sottopassare la grande catena. Il primo fu un buco Sono passati più di 500 anni da quando il primo traforo della storia è stato realizzato. Fu infatti nel 1480 che Ludovico II, marchese di Saluzzo, fece realizzare un tunnel sotto il colle del Traversette, nel Monviso, che fu chiamato Buco del Viso (il nome traforo non era ancora entrato nel gergo quotidiano). Si deve arrivare al 1871 per vedere aperto il primo tunnel ferroviario, il Moncenisio, iniziato nel 1857 per volere dello stesso Cavour per collegare la Savoia al Piemonte. Seguirono nel 1882 il San Gottardo e dopo il 1900 il Sempione e il Loetschberg; e via via tutti gli altri. Oggi i valichi nell’arco alpino sono complessivamente undici ed il prossimo dovrebbe essere il Mercan- tour, che collegherà Cuneo e Nizza. Attraverso i valichi alpini passano almeno 18 mila tir al giorno, una cifra che deve far riflettere sull’importanza di queste gallerie viarie e ferroviarie per il nostro paese: l’Italia possiede infatti il 43 per cento dei tunnel d’Europa e senza di essi sarebbe tagliata fuori dal resto del continente, vista la sua conformazione geografica e orografica. Attualmente le opere più importanti in corso riguardano i nuovi valichi ferroviari del Gottardo e del Loetshberg, che potenzieranno quelli finora in funzione, di collegamento fra Svizzera e Italia del Nord: il primo è già stato realizzato al 25 per cento della sua lunghezza e sarà pronto nel 2014, il secondo è costruito per il 95 per cento e l’apertura è fissata al 2007. Proprio in relazione alla costruzione di queste colossali opere, si torna con insistenza a parlare di sicurezza, considerati i numerosi incidenti che avvengono nei tunnel, alcuni dei quali particolarmente gravi. Il 24 ottobre 2001 ad esempio nella galleria del San Gottardo un veicolo pesante ha invaso la corsia contromano, collidendo con un altro veicolo pesante, provocando la caduta della volta e causando sei morti. Il 24 marzo 1999 un incidente ancora più grave: dal versante francese del Traforo del Monte Bianco un camion belga è entrato nel tunnel e si è incendiato al sesto chilometro, provocando la morte di 39 persone. La sicurezza dei tunnel autostradali è quindi sempre più d’attualità e comporta la predisposizione di misure che non possono essere procrastinate, nemmeno in previsione di un rallentamento del traffico quando sarà aperto l’Alp Transit ferroviario (costituito da Gottardo e Loetshberg). BIANCA VETRINO: Quello del Bianco è un prototipo di sicurezza In tema di sicurezza abbiamo sentito una testimone privilegiata, che ha seguito in prima persona la tragedia del tunnel del Monte Bianco ed ha curato la fase di riapertura: Bianca Vetrino, torinese, era stata nominata presidente della Società Italiana Traforo del Monte Bianco il 15 marzo 1999 e nove giorni dopo, il 24 marzo, avvenne nel tunnel l’incidente forse più grave della storia dei trafori. Come ha vissuto quei momenti? Ho subito dovuto gestire i rapporti delicati con i parenti delle vittime e quelli complessi con la Società francese del traforo, scontrandomi con una mentalità divergente, da parte dei francesi, per l’impostazione dei problemi. Dopo tre anni, il 9 marzo 2002, il traforo è stato riaperto al traffico. Bianca Vetrino ha concluso la fase della ricostruzione e della riapertura e la gestione del traforo è appena passata ad una società europea, la Geie (Gruppo europeo di interesse economico): Oggi il Traforo del Monte Bianco – dice – è considerato il più sicuro d’Europa per i lavori di ammodernamento e di messa in sicurezza che abbiamo compiuto. È anzi un prototipo di sicurezza, perché d’ora in poi tutti i trafori dovranno dotarsi delle misure che abbiamo adottato. In particolare dopo l’incidente abbiamo istituito un Comitato di sicurezza italofrancese, che ha indicato tutte le norme per la ristrutturazione e la circolazione, che sono state rigorosamente rispettate. A quanto è ammontata la spesa per la messa a norma? Abbiamo attuato interventi di ricostruzione con una spesa di 300 milioni di euro a carico delle Società italiana e francese, con un contributo di 12 milioni di euro dall’Unione europea. La tragedia ha comportato una sfida: quella di essere i primi in assoluto a introdurre tecniche progettuali d’avanguardia. Il forte impegno economico ha comportato anche un grosso coinvolgimento morale? L’impegno morale è stato fortissimo – dice Bianca Vetrino – innanzitutto quale tributo alla memoria delle vittime, al sacrificio dei soccorritori, al dramma umano che quell’evento segnò e che resta nella memoria di tutti noi del Traforo. In secondo luogo sentimmo subito e coralmente il dovere vincolante di riabilitare un’arteria insostituibile che tornasse a pulsare e lasciasse scorrere, in condizioni di sicurezza, persone e merci, linfa vitale per alimentare contatti umani culturali e scambi commerciali. Anche la gestione del riaperto traforo da parte di un’unica società, che ha sostituito le preesistenti società concessionarie italiana e francese, rappresenta una novità e un passo importante verso il rafforzamento dei legami di collaborazione transfrontaliera.

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