Sophia, uscire dal campus
Non è dato sapere se papa Francesco fosse al corrente dei tre pilastri che, sin dall’inizio della sua vicenda avviatasi nel 2007, reggono l’esistenza dell’Istituto universitario Sophia: la dimensione accademica propriamente detta, la vita di comunità e quella di superamento dei limiti puramente didattici. In effetti la piccola ma dinamica università di Loppiano – sita come si sa nel comune di Figline e Incisa Valdarno, a due passi da Firenze – si regge sulla ricerca di una eccellenza accademica, peraltro radicalmente transdisciplinare, sostenuta da una esigente vita comunitaria tra corpo docente e corpo discente, in vista di una proiezione della sua ragion d’essere – la ricerca umana e più che umana dell’unità personale, della comunità e dell’intera umanità − nella società civile, nelle sue più varie componenti.
Fatto sta che Bergoglio, nel suo breve ma incisivo e in qualche modo programmatico discorso, ha sottolineato proprio questi tre aspetti della vita dell’università: «Vi lascio tre parole – ha detto ai 200 presenti −, esortandovi a continuare con gioia, visione e decisione il vostro cammino: sapienza, patto, uscita». Ed ha argomentato della sorta: la sapienza «illumina tutti gli uomini», con cui «siamo chiamati a camminare insieme». Il patto è invece «la chiave di volta della creazione e della storia (…), quello tra Dio e gli uomini, tra le generazioni, tra i popoli e le culture, il patto – nella scuola – tra i docenti e i discenti e anche i genitori, il patto tra l’uomo, gli animali, le piante e persino le realtà inanimate che fanno bella e variopinta la nostra casa comune». Tutto ciò per «aprire le strade del futuro a una civiltà nuova che abbracci nella fraternità universale l’umanità e il cosmo». Quindi, quasi logica conseguenza, giunge la terza parola, “uscita”, l’essere “in uscita”: «Dobbiamo imparare con il cuore, con la mente, con le mani a “uscire dall’accampamento”, come dice la Lettera agli Ebrei (13,13), per incontrare, proprio lì fuori, il volto di Dio nel volto di ogni fratello e ogni sorella». Uscire quindi dall’accampamento, uscire dal campus.
Bergoglio ha detto tutto ciò non solo a un’assemblea tradizionale di professori, di amministrativi e di studenti – nella sala accanto c’era, insolita coincidenza, un folto gruppo dell’università Lumsa −, ma a un gruppo variopinto in cui spiccavano il ritegno di uno studente buddhista giapponese accanto alla presidente dei Focolari Maria Voce, la capigliatura rasta di un giovane musulmano algerino di fianco alla figura familiare del preside Piero Coda, la profondità accademica di sostenitori dell’università come il prof. Zamagni ed altri docenti di nome dietro alla porpora del Cancelliere card. Betori… E poi una rappresentanza della cittadella dei Focolari di Loppiano, contenitore e nel contempo partner di Sophia – perché la vita accademica ha da essere, nell’intuizione della fondatrice Chiara Lubich, il risultato della dinamica evangelica centrata sulla presenza del Maestro nella comunità – e una folta delegazione di dottorandi, a indicare la dimensione prioritaria della ricerca.
E, ancora, i membri di alcune delle iniziative extra-universitarie promosse da Sophia, come l’istituto per la pastorale ecclesiale Evangelii Gaudium e del gruppo di studio di geopolitica Global Studies – compresi ambasciatori e politici − e gli amici del gruppo di lavoro di “antropologia trinitaria” del Celam, un’ardita prospettiva teologico-filosofica di schietta natura conciliare, bergogliana e lubichiana, e i docenti della futura sede locale di Sophia in America Latina e Caraibi… Sophia è in effetti un istituto universitario con sede in Italia, ma ha l’ambizione di essere anche qualcosa di più.
«Sono contento del cammino che avete fatto in questi dodici anni di vita – ha pure detto il papa −. Avanti! Il cammino è appena iniziato. Nel percorso che sta davanti a voi non vi mancano i punti di riferimento: in particolare, l’ispirazione del carisma dell’unità da cui è nata la vostra università e insieme le linee che ho tracciato nella costituzione apostolica Veritatis gaudium, in cui il vostro progetto accademico e formativo vuole rispecchiarsi. Anche la vostra partecipazione alla preparazione e agli sviluppi del “Patto educativo globale” (iniziativa vaticana che avrà il suo culmine nel maggio prossimo, ndr) va in questa direzione».
L’udienza con papa Francesco giunge solo tre giorni dopo la cerimonia più importante di ogni università, cioè la cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico, in cui è stato conferito il secondo dottorato h.c. in Cultura dell’unità – dopo la prima attribuita al patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I −, al filosofo e teologo Juan Carlos Scannone, che purtroppo non ha potuto presenziare per un grave problema di salute incorsogli alla vigilia della partenza per l’Italia. Scannone, gesuita, esponente di spicco della “teologia del popolo” tanto cara a Bergoglio, che era stato suo allievo da seminarista (e che poi, nel 1971, era però diventato suo superiore), è un nome di spicco della teologia internazionale. Così aveva commentato l’interesse dell’opinione pubblica internazionale per le radici culturali di papa Francesco, all’indomani della sua elezione a pontefice: «Molti hanno sentito parlare allora per la prima volta della teologia argentina del popolo e del suo rapporto con le più note, per loro, teologia latinoamericana della liberazione e opzione preferenziale per i poveri». Scannone in effetti è considerato il più grande esponente in vita della “teologia argentina del popolo e della cultura”, che lui spiega come un modello universalizzabile di inculturazione della teologia mediante la sapienza e la pietà del popolo di Dio incarnato nei popoli della terra.
Al termine dell’udienza, Piero Coda, preside dell’Istituto, ha così commentato l’evento: «Siamo grati a papa Francesco che ha apprezzato la partecipazione di studenti provenienti dai cinque continenti e anche da diverse tradizioni religiose, e il nostro impegno a non guardare dal balcone ma a mettere le “mani in pasta” per camminare da protagonisti su strade nuove di fraternità».