Sono uno che ama il silenzio

Trent’anni, asciutto, sguardo azzurro, parlata tranquilla. Massimiliano è sé stesso, nessuna posa. In Fuoco su di me, il film di Lamberto Lambertini, hai impersonato la ricerca del giovane Eugenio. Io gli assomiglio parecchio. Sono in continua ricerca. Avverto che qualcosa mi guida, fin da piccolo: chiamiamoli angeli custodi o spirito… A volte ho il rifiuto della materia, pensando al mondo dello spettacolo in cui vivo e che spesso è fatto, purtroppo, di apparenza. Mi fermo, rifletto: faccio questo lavoro perché lo amo, da sempre, non per quello che potrei diventare. Tant’è vero che non frequento le feste: preferisco dopo il lavoro sul set starmene a casa o con gli amici d’infanzia. Alle feste mi sento fuori luogo, quasi spettatore di un film che non riesco a far mio, non mi appartiene. Piuttosto, prendo la macchina, vado in un parco a Frascati e faccio un po’ di kung-fu (è maestro di arti marziali, ndr). Penso che tutto ciò che ci circonda, il nostro stesso cammino faccia parte di un percorso, di un compito: magari io, col mio lavoro, ho quello di comunicare. Infatti, mi succede che la gente, quando mi incontra, mi parli di sé, dei suoi problemi. A me piace ascoltare: anche da piccolo, ero silenzioso. A volte è come se già sapessi quello che le persone hanno dentro: mi fa un poco paura, perché poi ho dei riscontri che confermano le mie sensazioni. Hai accennato alla tua infanzia. Racconta… Una famiglia semplice: papà calabrese, camionista, una sorella, mamma di Ladispoli, dove ho passato l’infanzia con la nonna. Come dicevo, mi piaceva osservare la gente: quasi entrare nelle persone per toccare il loro punto di vista: forse è il motivo per cui faccio l’attore… Ho iniziato con gli amici di strada a cantare, ballare nei campeggi, negli spettacoli. Ma già da ragazzo a scuola, a Grosseto, dove vivevo, frequentavo un corso di drammatizzazione…. Finché, a 19 anni, vieni a Roma. Qualche pubblicità importante, lavoro nell’ambiente discografico dove tuttora canti e scrivi per la Warner Ibn International. Poi, ballerino a Carramba con la Carrà. Era il ’98. Avevo successo a livello di fans, di riviste, serate, ospitate televisive… A vent’anni ti cominciano a girare intorno tanti soldi, e tanti squali. Non era la cosa giusta per me.Mi sentivo manipolato, non era il mio vero mestiere. Ho deciso per un anno e mezzo di fermarmi, ero troppo frastornato. Avrei rovinato un percorso di vita che poteva essere importante, mi sono chiuso in casa a meditare. Mi sono messo a studiare da capo recitazione e danza, a rifare provini. Non era facile, incontravo sempre qualcuno: ma dove sei sparito? Poi, ho ripreso a ballare, anche davanti a platee internazionali con 200 mila persone… L’anno scorso ho girato una pubblicità insieme a Catherina Zeta- Jones con un regista hollywoodiano: vorrei fare un viaggio negli Usa, perché qui un attore viene visto come tale non come un personaggio, come capita da noi. C’è una coscienza maggiore, maggior studio nella preparazione dei ruoli. Ormai, dopo Grandi domani e Carabinieri, hai una grande visibilità. Però coltivi anche altri interessi. Sto alla scoperta della musica per pianoforte. Quando suono qualcosa, mi nascono delle melodie. Poi scrivo delle canzoni – anche per Gianni Morandi – sia musica che testi. Mi piace molto scrivere, chissà forse un giorno uscirà un libro. La scrittura per me è un altro tipo di messaggio. Come il fare l’attore. Hai davvero sempre pensato di recitare? Da piccolo, volevo farmi prete. Ho fatto il chierichetto per anni (sorride, ndr). Purtroppo, nella chiesa come istituzione non mi ci ritrovo più. Però sono credente, penso che in tutte le religioni ci sia un messaggio comune di fondo che è quello dell’amore, ci sia uno spirito che ci accomuna. Inoltre, sono uno che nelle sue scelte si lascia molto guidare dall’istinto, ho imparato ad ascoltare il corpo…. Cioè? In Occidente siamo troppo abituati a usare la testa, pensiamo che il cervello sia il centro del corpo, invece è il ventre per gli orientali. A volte, mi sdraio a letto nel buio, penso a qualcosa, ascolto il cuore: se sento che parte una luce, la seguo, se invece si scurisce, non va bene. Il fatto è che non ci ascoltiamo più, siamo sempre di corsa. Bisogna ascoltare prima sé stessi e poi gli altri: è il dono della gentilezza, di cui parla il film di Lambertini. Oggi la gente si manda a quel paese per poco, ci si risponde male. Sarebbe meglio staccare cinque minuti dal lavoro, rimanere in silenzio e poi riprendersi; se qualcuno ti ha risposto male, cercare di capire se non sei stato tu a creare le condizioni perché questo accadesse…. Dici così perché forse è il tuo metodo per superare i momenti difficili… Io questi momenti li supero affrontandoli. Ho sempre preso tutto di petto. Quando ho un problema, lo guardo, lo sviscero, perché tanto mi sta insegnando qualcosa. È come un dolore fisico che ti sta dicendo che nel tuo corpo c’è qualcosa che non va. Perciò la sofferenza io non la vedo come un nemico, ma come un maestro. La difficoltà sta nel cercarne la causa e poi fare la battaglia finché il dolore se ne va. Massimiliano, tu reciti, scrivi, balli. Sei un cultore della bellezza. Io cerco di seguirla, mi interessa il suo contenuto. Mi spiego. Una ragazza bella mi può piacere, ma lo si vede dagli occhi se è armoniosa anche all’interno. Se invece è bella solo dal di fuori, per me finisce lì. A me piace la semplicità, la bellezza acqua e sapone. Quella delle storie d’amore pulite… Oggi sono single, ma ho vissuto per cinque anni una storia importante. Ora sono cresciuto, sto in continua ricerca di me stesso. Ogni giorno sento che vado avanti, scopro cose nuove. Certo, forse è difficile trovare una persona che capisca i tuoi silenzi, il tuo modo di vivere nel presente senza pensare troppo al domani, che accetti questo mio modo d’essere. Rido, scherzo e poi all’improvviso divento silenzioso, mi isolo a meditare. Ma son fatto così, non riesco a fingere. Anche sul lavoro: capita un diverbio, mi piace discuterne apertamente con i colleghi. A parte i colleghi, amici ne hai? ne hai? Me ne trovo tanti, ora che sono conosciuto. Ma l’amicizia non è semplice da trovare. Io ho un amico d’infanzia da 17 anni: ci incontriamo, scherziamo, lui non guarda mai i miei lavori ed è sempre schietto con me, cosa che non mi spiace… L’amicizia vera infatti si sente quando c’è. Poco fa, accennavi a dei sogni. Ce ne hai qualche altro in cantiere. Vorrei lasciare un segno a livello di emozioni. Che la gente mi ricordasse per un sorriso, un sentimento in una scena di un film, che potessero magari trovare uno spunto, una ispirazione per la loro vita. Spesso mi chiamano sul sito o in televisione delle persone malate. Dicono che vedendomi si sentono più forti, come una ragazza siciliana ammalata di tumore che poi sono andato a trovare a Catania. Un’esperienza toccante. Vedere che un sorriso, un abbraccio le dava energia, forza: ho cucinato per lei, l’ho portata in giro a prendere un gelato, le ho insegnato esercizi di chikong. Mi veniva da piangere quando ho preso l’aereo, mi sono chiesto cosa posso fare di più per queste persone…. Massimiliano, ormai sei nella rosa dei giovani attori italiani. Come vedi il nostro cinema? Le fiction stanno prendendo sempre più piede: gli sponsor pagano e la gente le guarda. Credo che ci lamentiamo troppo sui malanni del nostro cinema guardandoci sempre indietro. Studiamo i maestri, leggiamoli, impariamo ma adesso elaboriamo a modo nostro, lavoriamo! Bisognerebbe, da noi, offrire uno spazio maggiore ai giovani, c’è una paura di regalare loro la possibilità di esprimersi da parte di chi è venuto prima di noi. Sharif invece mi ha regalato un marea di segreti durante l’ultimo film. Come se mi volesse dire: Tieni, adesso tocca a te! Tanto che alla fine gli ho regalato una chiave d’oro. Un simbolo. Per lui, perché doveva girare San Pietro, e per me perché mi ha aperto un mondo nuovo.

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