Sono rinato. Grazie a Dio

Nicola Legrottaglie
Che è successo a Legrottaglie? Come mai adesso gioca così bene? Come mai? Ho messo la mia vita nelle mani di Dio. Se dicessi che è perché mi alleno di più, mentirei. Nicola Legrottaglie, 31 anni, pugliese di Mottola, difensore centrale della Juventus e della nazionale: una carriera sportiva discontinua, fra successi e delusioni, Bari, Modena, Chievo, Bologna, Siena, Juventus. Meno altalenante il suo fascino sul gentil sesso: Nicola è un bel ragazzo, alto e biondo. Eppure da due anni ha deciso di vivere la castità ed ha avuto il coraggio di dirlo pubblicamente, suscitando scalpore nell’ambiente, tra approvazioni e derisione. Dietro a questa sortita, che ha acceso la curiosità pruriginosa dei media, doveva esserci una realtà più profonda: incontrandolo nel ritiro bianconero precampionato ne abbiamo avuto la conferma. Da due anni Nicola ha ritrovato il proprio percorso di fede cristiana, vissuta e testimoniata con coraggio, fra gli Atleti di Cristo, un movimento evangelico di sportivi professionisti che si impegnano a vivere una vita cristiana, concorde alla volontà di Dio, diffondendo il messaggio del Vangelo attraverso lo sport. Avviato in Brasile, oltre 20 anni fa (ne faceva parte anche il pilota Ayrton Senna), conta fra i suoi membri i campioni brasiliani Kakà, Lucio, Edmilson e, in Italia, Rubinho, Vidigal e quel Tomas Guzman che, a Siena, ha riavvicinato Nicola alla fede. Avevo tutto, ma da tempo ero insoddisfatto della mia vita ed ero schiavo del sesso. Dio ha messo quel ragazzo sulla mia strada: mi ha colpito il suo atteggiamento, il suo modo di fare. Così mi sono riavvicinato a Dio. Fulminato sulla via di Damasco? No, assolutamente! Era un cambiamento che da tempo avevo chiesto al Signore. La mia famiglia mi ha dato i valori cristiani, ma poi ero stato attratto dal mondo, dal materialismo, come lo sono oggi tanti ragazzi. Ma, dentro di me, sono rimaste sempre vive le domande sul senso della vita. Tomas mi ha aiutato a trovare le risposte nelle parole della Bibbia. In che modo la tua vita da calciatore è legata alla esperienza di fede? Da piccolo, ho chiesto a Dio di aiutarmi a realizzare il sogno di diventare un calciatore. Poi mi sono scordato di lui e del dono ricevuto, lamentandomene pure. Ho giocato male il primo anno alla Juventus: una situazione difficile, dove tutti mi attaccavano. L’ho sfruttata, grazie a Dio, per riavvicinarmi a lui prendendo la decisione definitiva: Mi abbandono nelle tue mani. Cosa ha prodotto in te questa scelta di vita? Prima di tutto ho visto all’opera la sua mano: lui mi ha rasserenato, mi ha pulito dentro, ha perdonato tutti i peccati che avevo commesso fino a quel momento. È stata una nuova nascita come dice la Bibbia: di là questa passione di approfondirla. Come uomo e come calciatore, prima, mancavo di umiltà e questo condizionava molto il mio rendimento. Oggi, pur sbagliando, apprezzo molto di più il mio lavoro, perché so che, con questo talento, posso parlare di Dio agli altri. Che sia chiaro: il calcio è sempre agonismo, devo fare il mio lavoro e non tolgo certo la gamba in un contrasto! Ma lo sport è un tramite bellissimo per portare dei messaggi positivi agli altri: voglio usare il mio talento per la sua gloria. Ma era proprio necessario esporsi in questo modo per essere un cristiano nel mondo del calcio? Come a suo tempo con gli apostoli, sono convinto che oggi Dio si serva ancora di persone per potere parlare: perché allora non farlo in televisione?. Tanti mi chiedono: Perché sì? Io dico: Perché no?. Una vocazione? Una chiamata! Chi scopre un tesoro così grande, non può non volerlo comunicare. Non l’ho fatto per mettermi in mostra: molti mi deridono, ma molti mi stimano molto più di prima. Io ho detto a Dio: Se ti seguo lo voglio fare al cento per cento. Come ti giudicano i tuoi compagni? La Bibbia dice che chi vuol piacere al mondo, non può piacere a Dio. Ma sono contento perché se le cose vanno tutte bene, significa che non sei un vero cristiano. Oggi tutti mi osservano molto più di prima, ma non mi vergognerò mai perché la cosa più bella che posso fare è parlare di Dio agli altri, ai miei amici, come lo facevano i primi apostoli sulla terra. Fare carriera con il calcio affascina molti giovani: avresti un messaggio per chi sogna un futuro da calciatore? Fare il calciatore, lavorare facendo sport è la cosa più bella che ci sia. Ma ricordati che arriverà il giorno in cui tutto finisce. Preoccupati perciò di tutte le cose che non vedi, e non delle cose che vedi, perché queste un giorno finiranno. Ho parlato di questo con tanti giovani del settore giovanile e nelle scuole. Tanti sorridono, alcuni mi ascoltano. Ed altri ancora lo ascolteranno: a Nicola hanno chiesto di scrivere un libro con la sua esperienza.
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