Sono Lillo 2, una serie con piacevole retrogusto malinco(m)ico
Diretta da Eros Puglielli e con Pasquale Petrolo, in arte Lillo, di nuovo nei panni di un comico romano alle prese col suo (ex) doppio, Posaman: l’alter ego (tutto da ridere) che di un supereroe ha solo le movenze, nient’altro che le mosse, appunto le pose.
Non capita più, almeno nei primi episodi della nuova stagione – tutti di circa mezz’ora l’uno – che il personaggio si palesi davanti alla persona, con la citazione continua del bellissimo Birdman di Inarritu, come accadeva in precedenza, per mostragli le sue paure e insicurezze. Accade lo stesso, però, che Lillo sia costretto a fare i conti con ciò che per lui è stata delizia ma anche croce, ovvero Posaman.
Se inizialmente lo troviamo a girare con gli americani un film con il suo esilarante (non)supereroe, saltato improvvisamente il contratto per la solita (ovviamente comica) inettitudine del suo strampalato e cialtronesco agente, ecco addirittura la camorra (e qui la citazione che torna, sempre in chiave leggera e paradossale, è quella di Gomorra) che obbliga il povero Lillo a girare per i criminali un film in cui Posaman aiuta i clan.
Il protagonista lo sottopone allo strazio solo perché sotto ricatto, da travet con sfumature fantozziane qual è, ma più sensibile e delicato, più magnanimo e fine del mitico personaggio creato da Paolo Villaggio. Lillo non sa come venirne fuori, anche perché i personaggi che lo circondano, a partire proprio dall’agente Locatelli (sempre bravo Pietro Sermonti), ma non solo lui, invece di aiutarlo lo mettono sempre più nei guai.
Parallelamente alla linea narrativa professionale, piuttosto disastrosa, c’è quella sentimentale per il povero Lillo: dal ritorno della sua ex mai dimenticata dal Giappone, Marzia (sempre impeccabile Sara Lazzaro), parte l’inevitabile ricerca (piena di ruzzoloni, gaffe e fallimenti) per riconquistarla.
E così, sospeso tra il tenero e lo slapstick, tra la grana grossa e una comicità più sottile, di dialogo brillante, Sono Lillo 2 si mantiene (al netto di un linguaggio qua e là troppo colorito) una serie godibile e in alcuni passaggi spassosa, con un piacevole retrogusto malinco(m)ico e l’aggancio interessante a temi caldi del tempo che viviamo, per esempio il politicamente corretto e il sessismo.
Della struttura messa in piedi per la prima stagione rimane anche il locale in cui si esibiscono altri comici, gestito come precedentemente da un divertente (anche lui paradossale) Paolo Calabresi. Lo spazio teatrale che gestisce, dà modo a tanti (veri) comici di regalarci momenti gustosi. Nel primo episodio, per esempio, ci godiamo qualche minuto del grande Nino Frassica, nel secondo incontriamo Max Angioni. E così via.
Da segnalare, come vero e proprio personaggio in scena (sempre dal secondo episodio) un Corrado Guzzanti “califanizzato” nella voce, dunque esilarante nell’impasto verbale di forma e contenuti, anche stavolta con quella vena surreale che ha accompagnato tanti suoi personaggi.
Al netto di questa robusta e talvolta spassosa coralità intorno al protagonista, è come se la seconda stagione di Sono Lillo mostrasse di sapersi elevare a una scrittura raffinata, ma al tempo stesso soffrisse dell’incapacità di rimanere in altura e si accontentasse con una certa facilità di quella resa comica più conforme ai gusti del pubblico ampio, di quella semplicità dal sapore dimesso e sufficiente, che lascia qualche rimpianto, proprio per quei passaggi più fortunati in cui si ride col piacere di averlo fatto attraverso una penna intelligente. Questo almeno per gli episodi visti in anteprima. Solo una parte dei sei totali.
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