Sono ancora in piedi. Una lezione di vita

«La vita è una sola e non vale la pena sprecarla a piangersi addosso». Una bella e intensa storia nel libro di Benedetta Gelormini

Bisogna avvicinarsi con delicatezza alla vita di Benny, Benedetta Gelormini, per imparare a suggere i succhi esistenziali della sua esperienza. È una ragazza speciale forgiata dalla sofferenza e soprattutto da una caparbia lotta contro un tumore al cervello.

Lei lo chiama ‘Theo’, contrazione di tumore con la h, perché muto e silenzioso e Romeo, “un nome più normale e tranquillo, che si possa pronunciare senza terrorizzare nessuno”, scrive in Àncora di salvezza (Edizioni Radici Future), il libro nel quale racconta, con grazia e leggerezza, la sua malattia.

Il viaggio inizia presto, nella primissima infanzia, ad appena quattro anni, un tempo nel quale la vita dovrebbe avere il respiro dei giochi, la vastità degli abbracci, un mondo di coccole e un futuro tutto da immaginare nei castelli incantati delle fiabe, dove ci sono sempre eroi positivi e vincenti. Il castello per Benny, invece, è fatto di corsie d’ospedale, lettini, flebo, camici bianchi, «un posto – scrive – dove le persone possono morire o guarire, grazie ad eroi che ispirano persino sceneggiature cinematografiche e fiction televisive».

Un mondo diverso, insomma, dove all’abbondanza del pianto e della sofferenza spesso non corrisponde una sovrabbondanza di felicità e di gioia. Difatti, anche quando tutto va per il meglio, il risultato potrebbe non soddisfare le proprie aspettative.

«Vedere quello che fanno gli altri e quello che non posso fare io – ammette Benny nel corso del nostro incontro – costa, costa tanto, specie perché si fanno paragoni». Lei, però, non si perde d’animo, la resa non è nelle sue corde. «Non do più peso a queste cose. Questo libro mi ha aiutata a ripercorrere e a capire quello che ho passato. Se sono ancora in piedi c’è tanto da dire: devi esserne fiera ed orgogliosa».

Le corsie d’ospedale per Benny sono state l’università della vita. È lì che ha iniziato a scoprire quanto le venisse naturale far trovare a proprio agio chi avesse bisogno di conforto.

«Con la malattia – dice – ho imparato ad ascoltare. È importante far sapere agli altri che io ci sono, che sono sempre presente, è un contributo che voglio dare». Non a caso fa volontariato nel carcere minorile di Bari, dove l’ascolto ha la sua importanza. Benny tiene molto agli altri, al loro giudizio, alla loro presenza. «Sono una che si fa condizionare dal pensiero altrui – sostiene –. Voglio sapere sempre quello che pensano rispetto a quello che sto facendo».
Nulla di così strano per l’età, se non fosse che per Benny è qualcosa che va oltre. Spiazza, infatti, quando dice che preferirebbe accollarsi lei il dolore facendo stare gli altri in pace. Forse è un po’ stoico, suggeriamo. “Forse”, ammette lei stessa.

Tuttavia, leggendo il suo libro si colgono sfumature e ragioni che rivelano che non si tratta di un pensiero casuale o improbabile, ma qualcosa di più profondo che nasce dal confronto con la morte e con il dolore grande che essa provoca.

«Io non ho paura della morte o di affrontare l’inferno, perché li ho guardati in faccia, li ho sfidati e con forza ho vinto – scrive a pagina 71 –. Ma veder morire persone a cui si è affezionati, quello sì che mi fa paura; vedere persone della mia età, poco più grandi o più piccoli, spegnersi per una malattia simile alla mia, quello sì che mi fa paura».

Ora Benny ha vent’anni, vive a Bari e la trama della sua vita ha preso una piega inaspettata. Non più gli agognati studi universitari di Medicina, troppo impegnativi per il suo cervello, ma in Formazione primaria per non perdere di vista il mondo dell’infanzia.

Vorrebbe insegnare a Milano, città che ama. Speranza che la storia narrata in Àncora di salvezza possa servire a chi, come lei, sta attraversando un momento difficile. «Perché – ricorda a ciascuno di noi – la vita è una sola e non vale la pena sprecarla a piangersi addosso».

«Così sono le persone belle – sostiene Maura Massimino dell’Unità pediatrica dell’Istituto nazionale dei tumori nell’introduzione al libro –, sanno rendere bella la vita con il loro sguardo, sanno alleggerire il dolore per sé e per gli altri; sanno ricordare chi le ha aiutate nei momenti fondamentali, senza clamore e quasi casualmente, con la grazia e la leggerezza di chi ha capito quanta fatica costi il vivere e il far vivere». Benny ne è testimone autorevole.

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