Solomon Burke: più grande che grosso
Così anche il buon vecchio Solomon ci ha lasciati. Era uno degli ultimi grandi dell’era aurea del soul.
Così anche il buon vecchio Solomon ci ha lasciati. Era uno degli ultimi grandi dell’era aurea del soul, quella di Otis Redding, Sam Cooke, Ray Charles… Anche se nella sua carriera ha inciso centinaia di canzoni, il mondo lo ricorderà soprattutto per una, Everybody Needs Somebody to Love, successo planetario dei Sessanta, poi rispolverato da Belushi nel mitico The Blues Brothers.
Solomon col suo quintale e mezzo di simpatia e di energia, con le sue ansie mistiche, con la sua consapevolezza d’essere stato un maestro e una leggenda per almeno due generazioni di artisti, neri e no (i Rolling Stones, tanto per fare un nome). Solomon coi suoi 21 figli e 90 nipoti. Un uomo cresciuto cantando il gospel e il rhythm’n’blues, predicatore nella sua Filadelfia fin da ragazzino, dj e impresario di pompe funebri, e poi caposcuola così grande da meritare un posto fra gli immortali della Rock’n’Roll Hall of Fame.
Ho avuto la fortuna di lavorare con lui un paio di volte, soprattutto in occasione di una sua esibizione in piazza San Pietro, davanti a un Wojtyla decisamente coinvolto. C’era quasi voluto un argano per farlo arrivare sul palco, ma poi quella sua voce così possente, calda e piena di pathos aveva ancora una volta cancellato i dettagli per farsi carezza, abbraccio, festa ed emozione. Solomon sapeva elevare il blues e il gospel in preghiera allo stesso modo in cui trasformava il soul e il rhythm’n’blues in pura energia vitale. E non mancava mai di ringraziare Dio per il talento ricevuto e ancor più per aver avuto la fortuna di veicolarlo al mondo intero; ed ogni volta che capitava di finir soffocato in uno dei suoi abbracci era impossibile non sentirne il privilegio: perché tutti hanno bisogno di qualcuno da amare…
L’ultimo album importante è lo splendido Don’t Give Up on Me che gli valse due Grammy, dove il nostro offriva una manciata perle firmate da Dylan, Tom Waits, Costello, Van Morrison. È morto in un aeroporto, prima di sbarcare per un suo ennesimo concerto, quello in cui avrebbe presentato il suo prossimo album, inciso insieme a una misconosciuta band olandese: basterebbe questo a dirci chi è stato.