Solo lo stupore conosce

Articolo

Incontro Mario Gargantini ad un convegno promosso da www.disf. org (Documentazione interdisciplinare di scienza e fede). Parla ad un uditorio giovane su come comunicare efficacemente scienza e fede con i media di oggi. I suoi argomenti mi sembrano fuori dal solito coro. Accetta l’intervista con un sorriso rassegnato: per un comunicatore essere intervistato fa parte del gioco. I media cercano velocità, attualità, sentimenti. Come comunicare la scienza e la fede, che richiedono invece riflessione e approfondimento? L’esperienza scientifica è anzitutto passione, entusiasmo, gusto. Mentre si descrive una scoperta, un’indagine, un lavoro scientifico, è essenziale allora raccontare dal vivo anche come il ricercatore ha vissuto quell’esperienza. Il suo stupore di fronte ad una scoperta inattesa. Il pubblico è interessato all’uomo che fa scienza, non tanto ai risultati più o meno parziali, e comunque sempre rivedibili. E invece per comunicare la fede? Scienza e fede sono distinte, diverse, ma non separate. In un sito inglese è stata recentemente proposta questa domanda: Cosa ti ha fatto cambiare il tuo modo di pensare?. Sono indicati tre possibili tipi di risposte: se cambi modo di pensare per un ragionamento si tratta di filosofia, se cambi a causa di Dio siamo nel campo della fede, se in conseguenza di fatti precisi vuol dire che è scienza. Come dire che la fede non si basa sui fatti. Invece, anche la mia esperienza di fede è basata fondamentalmente su fatti, fatti successi duemila anni fa e che si ripetono ogni giorno per ognuno di noi. Se non mi fosse successo qualcosa, se non avessi incontrato qualcuno, in modo anche descrivibile, non potrei avere fede. Ritornando a come comunicare la fede, i media cercano sensazionalismo, mentre la fede è interiorità e intimità. Sì, però la fede è anche risposta a domande e problemi sperimentati da ciascuno. Proprio al livello delle domande fondamentali della persona è quindi possibile trovare un punto di contatto col pubblico e su questo costruire anche i passaggi più sofisticati. Sottolineo che scienza e fede vanno insieme perché impostare la comunicazione sulla scienza col livello detto prima e l’esperienza umana del ricercatore, e impostare l’esperienza religiosa come risposta a domande fondamentali dell’uomo, sono due cose che si aiutano l’un l’altra. L’esperienza di scienza vista come incontro con la realtà, descritta nel modo giusto, immediatamente spalanca la porta ad altre domande. Quindi benvenuto un articolo che tratti entrambi gli argomenti insieme? Certo. Tra l’altro tutte le grandi rivoluzioni scientifiche hanno avuto propellenti culturali esterni. Nello stesso tempo un uomo di fede, un teologo, che vuole rispondere alle domande fondamentali dell’uomo ed è convinto che non si tratti di qualcosa solo di sua competenza, ma che riguarda tutti, sarà aperto a cogliere gli apporti che le altre scienze possono dare. Con i nuovi media la comunicazione migliora o no? Internet ha i suoi vantaggi, come la facilità informativa, ma anche svantaggi come la indiscriminata abbondanza di materiale, la difficoltà di orientamento, la distrazione, la superficialità, la velocità di consultazione a svantaggio della riflessione. Possiamo considerarli strumenti preziosi per l’unità del genere umano? Possono aiutare l’unità, non generarla. Se c’è già, l’aiutano, la potenziano, la servono. Lo strumento da solo non può cambiare una persona. Il grosso problema dei gestori di questi strumenti oggi sono proprio i contenuti. Se non ci sono, lo strumento non li crea. Quali sono i suoi segreti del mestiere? Mi piace l’idea di comunicare quello che incontro. Soprattutto le chiacchierate che ho occasione di fare con ricercatori e scienziati dei quali cerco di capire il lato umano, l’esperienza che stanno vivendo. Viaggio molto per vedere in prima persona i luoghi dove gli scienziati vivono, dove si fa ricerca e si dibatte la scienza anche con le altre discipline. Infine cerco di raccontare l’impatto che tutto questo ha su di me. Prima insegnavo e i miei studenti capivano che a me piaceva l’argomento che insegnavo loro. Capivano la fisica dall’impatto che aveva avuto su di me. Raccontavo loro come cercavo di affrontare il problema, come mi sforzavo di studiare l’argomento in modo diverso. Questo è quello che resta negli studenti, ma anche nel pubblico. Vede qualche novità nel modo di porsi della Chiesa su questi temi? Oggi la Chiesa è attenta a capire quali sono le tendenze più interessanti nel campo scientifico, quelle che prefigurano avanzamenti oggi magari ancora inimmaginabili. Per esempio tutta la tematica della complessità. E ancora prima il discorso di una ragione che è invitata a ripensarsi, ad aprirsi ancora di più; questo riguarda tutti allo stesso modo, scienziati, filosofi, teologi. Papa Benedetto poi è particolarmente attento ai segnali che vengono dal mondo tecnoscientifico, alle prospettive della tecno-scienza. Uso volutamente questo termine perché oggi la distinzione tra scienza e tecnologia – che dal punto di vista teorico è importante e chiara – nella pratica in molti campi è sfumata e questo può portare problemi. Una Chiesa in prima linea… Sul punto dell’allargamento della ragione, le persone più sensibili hanno capito che la Chiesa è sicuramente il contrario di quello che spesso si dice: è davanti, non in difesa. È propositiva e sulla frontiera, non in un angolo rivolta al passato.

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