Solo la pace può fermare l’esodo dei rifugiati
In un pomeriggio trascorso in dialogo con leaders religiosi – il cardinale nigeriano John Olorunfemi Onaiyekan, del patriarca siro-ortodosso Ignatius Aphrem II e del rabbino argentino Abraham Skorka – Gentiloni ha tracciato un panorama della situazione attuale del Medio Oriente con riferimenti precisi alla politica italiana, ma anche con chiarimenti su scala internazionale. Il Ministro degli esteri ha riconosciuto il fallimento dell’opzione guerra e degli interventi armati, che hanno di fatto destabilizzato il Medio Oriente, in particolare l’Iraq, creando reazioni a catena fra cui il successo dell’ISIS e i processi migratori biblici a cui assistiamo oggi. “Si è pensato in passato che con la forza militare si potessero risolvere tutti i problemi esistenti nelle aree di crisi. Ancora oggi c’è chi crede che l’unica soluzione sia quella di un intervento diretto, ma io credo che da solo non serva a niente. Di fronte a fenomeni come quello dell’Isis, che solo per il 2015 potrà vantare un bilancio di 1 miliardo di dollari e il controllo di importanti asset economici, occorre rispondere anche con un approccio culturale, altrimenti sarà molto difficile se non impossibile il ritorno delle minoranze nelle città e nei villaggi da cui sono stati allontanati, a partire dalle comunità cristiane”.
L’emergenza migratoria, ha dichiarato Gentiloni, non è di breve termine: la si deve calcolare sui 10-20 anni da oggi. Gentiloni ha rivendicato alcune posizioni dell’Italia che, sui tempi più o meno lunghi, si sono rivelate accorte ed esatte. In particolare, ha tenuto a sottolineare come l’emergenza emigrazione, a lungo affidata al nostro Paese dalla Comunità Europea, sia oggi, invece, ritenuta una responsabilità condivisa, almeno da alcuni Paesi dell’Europa occidentale. “Senza l’apporto dell’immigrazione la nostra economia oggi avrebbe seri problemi. Occorre gestire i flussi migratori”. Gentiloni, d’altra parte, ha anche affrontato il problema dell’immigrazione da un punto di vista di pragmatismo economico: “Senza l’apporto dell’immigrazione la nostra economia oggi avrebbe seri problemi. Occorre gestire i flussi migratori”.
Il cardinale nigeriano, nel rispondere al ministro degli esteri, non ha fatto sconti per le violenze perpetrate in Africa spesso proprio a causa di posizioni ambigue dei Paesi Europei ed ha tenuto a precisare la gravità della questione del Boko Aram. Anche il capo della Chiesa Siro-ortodossa ha disegnato una lettura approfondita della situazione siriana senza voler nascondere anche le responsabilità esterne di Paesi intervenuti nella questione siriana.
I temi affrontati nel corso di queste tavole rotonde sono al centro delle conversazioni non solo ufficiali, ma anche private e nei corridori e ai tavoli del convegno organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Ci si rende conto della gravità del momento che si vive e della necessità di scelte coraggiose, ma anche lungimiranti per confermare che la pace è sempre possibile, come recita il titolo del convegno di quest’anno.
Lo stesso Romano Prodi ha affrontano, in due interventi successivi, la problematica sia delle migrazioni che di una lettura geopolitica ad ampio respiro. L’integrazione, secondo l’ex Premier italiano, è una sfida da cogliere per non essere spazzati via dalla globalizzazione. Prodi ha messo in guardia che se non si vuole arrivare «a fare la fine degli stati rinascimentali italiani, spazzati via dalla prima globalizzazione che fu la scoperta dell’America, dobbiamo avere una maggiore integrazione. Gli stati europei sono troppo piccoli. E le reti globali delle nuove tecnologie, da Apple ad Amazon, da Google a Ali Baba, sono tutte americane o cinesi. Non ce n’è una europea. Non siamo in grado di crearle, così come l’Italia divisa non riusciva a costruire le grandi caravelle necessarie a solcare gli oceani».
Al centro del suo intervento Prodi pone una politica che deve essere guida dei processi di globalizzazione. «L’allargamento dell’Europa – ha affermato – è l’unico caso riuscito di esportazione della democrazia. La democrazia si crea con la pace. Ma poi è arrivata l’Europa della paura, con i timori generati dalla crisi e dall’immigrazione, paralizzata da populismo e respiro corto». La lettura geopolitica di Prodi mette il dito nella piaga di una Europa che spesso non si rende conto di essere ad un bivio, che è quello tra irrilevanza ed avere un ruolo nel mondo.
«In Cina l’Europa è già considerata out. Ci siamo allargati ad est, ma chiusi a sud. Non siamo riusciti nemmeno a creare una banca del Mediterraneo o una università con sedi sulle due sponde del Mare Nostrum, con professori e studenti provenienti da nord e da sud. Davanti allo sviluppo demografico dell’Africa dobbiamo dare delle risposte tempestive, e non essere bloccati nei nostri processi decisionali, ricattati dai populismi o in attesa dei risultati delle prossime elezioni locali».
Il convegno di quest’anno anche per l’attuale panorama europeo in cui si sta svolgendo ha messo ulteriormente in evidenza come religione e politica non siano aliene l’una all’altra, ma che debbano trovare un vero nuovo equilibrio che possa aiutare a gestire le emergenze e le tensioni che sempre più dimostrano di avere una valenza religiosa importante. Le religioni, ha affermato Gentiloni, hanno un “loro ruolo fondamentale nella soluzione dei conflitti” e questo, ha sottolineato, “ rende realistico il titolo del vostro convegno “La pace è sempre possibile”. L’Europa deve mobilitarsi per difendere le minoranze cristiane nei Paesi dove sono a rischio: la loro presenza in tanti Paesi del Medio Oriente è stata sempre un prezioso fattore di moderazione e di pluralismo.