Solo il creativo è fedele

La vera globalizzazione è costruire la famiglia umana. Anche in tempi di crisi. Il contributo del carisma dell’unità. Intervista a Jesús Morán, copresidente dei Focolari
Jesús Morán Cepedano e Maria Voce

Laureato in filosofia e specializzato in antropologia teologica, Jesús Morán ha appena pubblicato (con Città Nuova) il libro “Fedeltà creativa – la sfida dell’attualizzazione di un carisma”. Due sono gli argomenti principali: le grandi sfide globali di oggi e la necessità di attualizzare i carismi, specie dopo la morte del fondatore.

Quale la sfida di oggi?

La globalizzazione: è un fallimento perché dominata da gruppi egemonici che globalizzano i loro interessi particolari sulle spalle della povera gente, schiavizzando l’ambito politico. Questi interessi, collegati con un forte apparato militare, sono una morsa sul mondo. Dobbiamo invece puntare a una globalizzazione che rispetti tutte le culture e le tradizioni religiose, in modo che ognuna possa portare il suo contributo, con una reale condivisione dei beni su scala mondiale. Serve un cambio di mentalità dei singoli e dei popoli, oltre a strumenti per controllare questi gruppi egemonici. Purtroppo tanti organismi internazionali oggi non sembrano all’altezza. Bisognerebbe rilanciare istituzioni come l’Unione europea, l’Unione africana, gli organismi internazionali in campo religioso, le conferenze episcopali continentali e qualsiasi iniziativa di condivisione e scambio di conoscenza.

Serve una leadership illuminata?

Servono prima di tutto testimoni morali, di livello mondiale, come papa Francesco, che privilegia quello che nessuno considera e lo mette in luce, o come il patriarca Bartolomeo o, tra i politici, Nelson Mandela. Ma devono essere sostenuti da un popolo. Nei posti chiave bisognerebbe scegliere persone capaci di fare sistema, nel senso scientifico del termine che indica interdipendenza positiva. Le cittadelle dei Focolari nel mondo potrebbero essere un piccolo modello, in quanto abitate da persone di nazioni varie, che fanno esercizio di condivisione tra generazioni e competenze diverse. Vorrei sottolineare anche l’esperienza del Movimento musulmano dei Focolari in Algeria: lì non si “fa” dialogo, si vive l’unità tra persone di religioni diverse, lo stesso ideale, l’amore reciproco a livello globale, senza sincretismi, io pienamente cristiano, loro pienamente musulmani. Questa è vera globalizzazione: costruire la famiglia umana.

Una sfida impossibile?

Mi incoraggia Benedetto XVI col concetto delle “minoranze creative”, che nei secoli hanno fatto la storia. L’efficacia di queste minoranze non si vede subito, ma pensiamo ai monasteri nel Medioevo, ai filosofi dell’antica Grecia, ai primi monaci buddhisti.

C’è un contributo dei carismi?

Nel libro ho riflettuto sul processo di “attualizzazione”, che prende una particolare intensità dopo la morte del fondatore. Se guardo il mondo di oggi, i tempi sono diversi da quelli che ha vissuto Chiara Lubich, quindi bisogna continuare sulla sua scia, sviluppando altri concetti, altri linguaggi.

Dopo la morte dei fondatori c’è un periodo di crisi…

Infatti avverto segni di scoraggiamento, di nostalgia del passato, di poca fiducia che il carisma abbia la forza per rispondere alle sfide di oggi. Attualizzazione significa invece cogliere le domande dei nostri tempi, essere vicini alla gente e contemporaneamente approfondire il dono ricevuto, consapevoli che non l’abbiamo ancora capito del tutto e che in esso si cela qualcosa di perenne. Bisogna avere il coraggio di verificare quali modi di fare, che credevamo connaturati al carisma, sono invece relativi, datati e cambiarli. L’attualizzazione rende protagonisti e ci spinge ad uscire da noi stessi.

La novità fa paura al Movimento dei Focolari?

Fa paura, come a tutti, perché l’accomodamento nei passi già fatti è un processo naturale. Il timore di non essere all’altezza di fronte a Dio o alla storia è un dono, la paura invece non viene da Dio e umanamente paralizza. Le forze carismatiche all’inizio nascono quasi senza struttura, poi viene l’istituzionalizzazione che può spegnere la forza propulsiva, col rischio che le forze più creative escano per trovare altrove uno spazio. Invece queste persone sono indispensabili. Naturalmente c’è il rischio di sbagliare, ma meglio sbagliare che morire di inerzia.

Il papa dice che un carisma non è un pezzo da museo e lei scrive che non basta attingere agli scritti del fondatore e ripeterli…

Solo il creativo è fedele al carisma. Non è fedele chi ripete, ma chi fa uno sforzo di creatività. Anche Chiara Lubich non è mai stata ferma, non ha ripetuto, non si è accontentata di quello che trovava. Solo il creativo è veramente fedele a lei. D’altra parte, è creativo chi non segue una sua idea personale, ma va a fondo in questo dono che non viene da lui stesso, anche se richiede tutta la sua intelligenza. Dunque: quanto più fedeli tanto più creativi, quanto più creativi tanto più fedeli.

Nel libro lei chiede vita di unità e studio.

La vita di unità, perché è il centro della nostra spiritualità, e richiede una condivisione concreta di mente e cuore. Lo studio, perché l’unità va capita e va compreso anche il mondo a cui dobbiamo donare questa unità. Davanti a certi fenomeni estremi di oggi – rifugiati, scarti, post-umano, sotto-umano –, intelligenza vuol dire trovare nuovi linguaggi, per riformulare certi concetti, rimanendo fedeli al carisma. Attenzione, però, non è un lavoro da intellettuali. Una delle persone più creative che conosco è Alfonso, che ha creato una rete di sostegno ai carcerati. Dopo serve anche lo studio, perché non abbiamo ancora una antropologia, una etica e una ecclesiologia alla luce del carisma dell’unità. Siamo agli inizi in questo. Per questo sono importanti le nostre agenzie culturali, la Scuola Abba, l’Istituto Universitario Sophia, le iniziative professionali chiamate Inondazioni ecc. La sinergia tra vita e cultura è fondamentale.

C’è chi dice che siamo presuntuosi, che pensiamo di avere tutte le risposte…

Possiamo trovare risposte alle sfide di oggi con la nostra esperienza, ma la nostra vera specificità è nel costruire spazi di creatività, luoghi di ascolto reciproco, dove insieme ad altri possiamo trovare idee nuove. Questo si fa con piccoli gesti e atti di amore, ma anche diventando leader di spazi accademici e culturali, dando la nostra impronta e il nostro stile. Ci vuole chi è capace di riunire altri attorno a sé col suo pensiero e con la sua autorevolezza culturale e morale. Il vero intellettuale non è quello che ha l’idea migliore, ma chi è capace di fare la sintesi, perché ha la maturità necessaria. Voler costruire una cultura dell’unità ed essere presuntuosi è un controsenso.

Se come copresidente dovesse fare un appello?

Viviamo un momento cruciale nella storia dell’umanità, dunque spendiamoci per l’unità, a livello accademico, culturale, religioso, politico, sociale. Viviamo per gli altri, cominciando dal più piccolo, ma con la massima apertura al mondo e cercando di leggere in profondità quello che sta succedendo. Questo richiede un impegno personale e collettivo. Riempiamo quindi i nostri incontri di contenuti sostanziali, di vita e impegno culturale. Una riunione è significativa se coinvolge persone che vivono nel mondo con passione, non persone che stanno comode, ma che si interrogano. Dobbiamo sentire sulla nostra pelle quello che vivono i nostri contemporanei e avere il coraggio di essere creativi e “radicali” secondo la vocazione ricevuta.

Anche in un momento di crisi?

Dopo la morte del fondatore viene sempre un momento di crisi, perché ci accorgiamo dei nostri limiti: non c’è più Chiara Lubich, vediamo partire le sue prime e suoi primi compagni, da soli siamo un disastro, diverse opere stentano a stare in piedi, abbiamo meno vocazioni di una volta. La tentazione è dire che non ce la facciamo, che non siamo all’altezza del carisma. Il passo successivo è pensare che il carisma non sia vero. È una grave tentazione. Bisogna invece attraversare questo momento, dirlo, dargli un nome, riconoscere anche che abbiamo fallito in diverse cose. Se ci nascondiamo il fallimento, non superiamo la prova. Solo dopo averlo riconosciuto possiamo riprendere la marcia con una nuova fiducia, non tanto in noi stessi quanto in Dio. Questo è il definitivo superamento dell’autoreferenzialità, perché non potremo più dire che “noi” abbiamo la risposta, oppure che “noi” abbiamo fatto questo e quello. Dobbiamo passare questa prova, per distinguere il dono di Dio da noi, e arrivare a dire: non ci fidiamo più solo di noi stessi, ma soprattutto di Dio. Io vedo il carisma di Chiara più vivo che mai.

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