Solitudine e malattia

L’isolamento sociale è un fattore di rischio che può far diminuire la salute delle persone, specialmente anziane. Ma ci sono anche altre solitudini

C’è una solitudine positiva: quella di chi sta bene con se stesso (oltre che con gli altri), chi sa andare in profondità dentro di sé, chi sa stare in piedi da solo, serenamente.

Ma c’è anche una solitudine negativa, purtroppo molto diffusa. Nella società indifferente di oggi, siamo tutti almeno un po’ fragili e insicuri, ansiosi di conferme al fatto che esistiamo e che la nostra vita ha un valore. Di conseguenza la solitudine è insopportabile e triste: quante volte guardiamo il cellulare per vedere se qualcuno ci ha cercato, se qualcuno ci ha pensato o ha guardato il nostro profilo social?

Ora dalla scienza arriva una conferma che rende ancora più preoccupante, se possibile, la situazione: la solitudine peggiora la salute. Se lo stato di “isolamento sociale percepito” dura abbastanza a lungo, infatti, può generare un’alterazione del sistema immunitario con conseguente stato di infiammazione dell’intero organismo.

Questo porta, a lungo andare, allo sviluppo di varie malattie croniche. Non è un caso, quindi, che le persone anziane che si sentono abbandonate abbiano un fattore di rischio aggiuntivo per lo sviluppo di patologie di questo tipo.

Addirittura, secondo i ricercatori dell’Università di California a Los Angeles, la carenza di relazioni sociali può essere più pericolosa del fumo di sigarette, del consumo di alcool o dell’obesità. L’impatto sullo stato generale di salute è talmente chiaro, che semplicemente analizzando in un soggetto le modalità di espressione di certi geni, gli scienziati sono in grado di stabilire se vive in condizioni di solitudine o no.

I risultati della ricerca sugli uomini sono stati comparati con quelli di una analoga ricerca sulle scimmie macaco rhesus: l’impatto è identico, segno che la solitudine è un brutto guaio anche per gli animali. Questi risultati dovrebbero aiutarci a fare più attenzione a chi abbiamo intorno. A seconda di come ci comportiamo possiamo contribuire al suo benessere o, viceversa, alla sua malattia.

Vorrei infine concludere con un ultimo tipo di solitudine: la solitudine con Dio. Scrive Chiara Lubich: «La vergine Maria non aveva altre vergini compagne che sempre convenissero con lei. Ella era sola con Dio: con Dio prima dell’Incarnazione, con Dio Figlio suo dopo la natività, con Dio in cielo dopo l’Ascensione. Per questa solitudine non perdette la contemplazione, anzi è proprio la solitudine che favorisce l’unione mistica col Signore».

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons