Solaris
Vien da chiedersi quale sia il fascino della storia di Solaris, scritta da Stanislaw Lem, nato da una famiglia di polacchi ebrei 81 anni fa, tradotta in linguaggio cinematografico in maniera insuperabile da Tarkovskij nel 1972 e riproposta coraggiosamente ora da Steven Soderbergh. Tale fascino è così sottile e profondo che non è facile a definirsi, forse perché ci troviamo davanti ad una fantascienza “metafisica” indovinata. Le spiegazioni sono scientifiche, anche se rimandano a conoscenze avveniristiche, ma il contenuto è fondamentalmente religioso. Il modo migliore per affrontare la comprensione della vicenda è il ricorso all’interpretazione metaforica. Gli strani ospiti della stazione orbitante intorno al lontano pianeta, interamente ricoperto da un mare intelligente, sono sia anime che ritornano dall’aldilà, sia ricordi spiacevoli che obbligano gli scienziati a risolvere i conti lasciati in sospeso nella propria coscienza. Quell’oceano in continuo movimento, maestoso nella sua solenne misteriosità, potrebbe essere il simbolo di Dio stesso e la casa, cui il protagonista ritorna, non è sulla Terra, ma nell’altro mondo, dove tutti i peccati sono stati perdonati, come dice la moglie accogliente e gioiosa. Un sentimento vago percorre il film attuale e quello di trent’anni fa, rendendoli simili a lunghi sogni. Esso è segnato dal dolore pacato per il confronto con le esperienze, che riemergono senza violenza ma con determinazione. Ed è pervaso, anche, da un amore rinnovato tra i coniugi e dal desiderio positivo di riparare nel presente, superando il passato. La sensazione sempre più irreale, che accompagna le ultime decisioni prese dagli astronauti, indica l’ingresso nella dimensione trascendente della vita, in Tarkovskij attraverso la purezza della sua intuizione poetica, in Soderbergh attraverso una sorta di un più semplice incanto esistenziale. Tale interpretazione, indubbiamente non facile, è appena suggerita, come se gli autori lasciassero volutamente ad ogni spettatore la possibilità di giungere alla comprensione che gli è più congeniale. Regia di Steven Soderbergh; con George Clooney, Natascha McElhone.