Il sogno del papa e del Mozambico
L’emozione è stata tanta questa mattina all’ospedale di Zimpeto, tenuto da Sant’Egidio, centro del grande progetto Dream da loro avviato ormai da più di trent’anni e ricco di straordinari successi medici e umani, come la non trasmissione del virus Hiv da madre a figlio seguendo procedure sempre più perfezionate (e semplici).
Piove, fa insolitamente freddo, lungo la strada sono allineate migliaia di persone avvolte in poncho coloratissimi, che creano immagini altamente suggestive, evidenziando volti di grande intensità, dietro ai quali vi sono molto spesso storie drammatiche, legate specialmente ai problemi di salute endemici di queste parti. Il papa viene accolto con la consueta gioia e il calore tipico di queste parti, ma con qualcosa di più.
Il papa è qui come buon samaritano, e lo ricorda più volte nel corso del suo saluto. Un samaritano “buono”, che si commuove quando delle madri sieropositive gli presentano i loro piccoli, talvolta non sieropositivi, talaltra sì. Bacia tutti, dà carezze senza risparmiarsi, si vede che è nel cuore del suo messaggio pontificio, la misericordia e la tenerezza di Dio per tutti gli uomini e le donne di questa terra. Il papa parla di famiglia, di speranza, di futuro, di compassione, invita a continuare a fare i buon samaritani anche quando i riflettori della sua visita saranno spenti.
Insiste sulla necessità di coinvolgimento personale, di impegno strenuo anche nei momenti in cui la speranza fa difetto. Ricorda che non basta il risultato medico, bisogna continuare ad associarlo alla solidarietà e alla condivisione. Andrea Riccardi sembra commuoversi, la sfida lanciata tanti anni fa continua ad essere attuale, sempre più.
Dopo la visita all’ospedale di Zimpeto, appuntamento finale della visita in Mozambico allo stadio locale, dove sono presenti circa 60 mila persone sotto la pioggia. Anche qui, il giro in papamobile di Bergoglio diventa una straordinaria serie di contatti personali, più che di saluti alle folle. Il papa pare rinfrancato dalla visita all’ospedale. Le sue parole nel catino umano insolitamente freddo, sono anche qui volte a rinforzare la riconciliazione nazionale.
Si rivolge a tutti e a ciascuno: «Molti di voi possono ancora raccontare in prima persona storie di violenza, odio e discordie. Gesù non ci invita a un amore astratto, etereo o teorico, redatto su scrivanie per dei discorsi. La via che ci propone è quella che lui stesso ha percorso per primo, la via che gli ha fatto amare quelli che lo tradivano, lo giudicavano ingiustamente, quelli che lo uccidevano. È difficile parlare di riconciliazione quando sono ancora aperte le ferite procurate da tanti anni di discordia. Nonostante ciò, Gesù Cristo invita ad amare e a fare il bene. E questo è molto di più che ignorare la persona che ci ha danneggiato o fare in modo che le nostre vite non si incrocino». Gesù, però, non si ferma qui: «Ci chiede anche di benedirli e di pregare per loro. Alta è la misura che il Maestro ci propone».
E ancora: «Con tale invito Gesù, lungi dall’essere un ostinato masochista, vuole chiudere per sempre la pratica tanto comune – ieri come oggi – di essere cristiani e vivere secondo la legge del taglione. Non si può pensare il futuro, costruire una nazione, una società basata sull’ “equità” della violenza».
Ieri pomeriggio, nella cattedrale dell’Immacolata concezione, anch’essa assediata di uomini e donne colorati, avvolti in drappi papali, vestiti della fantasia di queste terre, il papa ha incontrato vescovi, preti, seminaristi, consacrati, religiosi. Un incontro in cui il papa non ha risparmiato i suoi consueti inviti a non accontentarsi delle posizioni acquisite, guardando in faccia la realtà: «Siamo chiamati ad affrontare la realtà così com’è. I tempi cambiano e dobbiamo riconoscere che spesso non sappiamo come inserirci nei nuovi scenari nella nostalgia dei tempi passati. Ci andiamo pietrificando. Invece di professare una Buona Notizia, quello che annunciamo è qualcosa di grigio che non attira né accende il cuore di nessuno».
Parla di stanchezza il papa, della stanchezza del prete, di quella buona e di quella cattiva: «Non possiamo correre dietro a ciò che si traduce in benefici personali; le nostre stanchezze devono invece essere piuttosto legate alla «nostra capacità di compassione. Sono impegni in cui il nostro cuore è “mosso” e commosso». E insiste sulla necessità di proseguire sempre in una inculturazione sempre più necessaria: «Le distanze, i regionalismi e i particolarismi, la continua costruzione di muri, minano la dinamica dell’incarnazione, che ha abbattuto il muro che ci separava. Voi – almeno i più anziani – che siete stati testimoni di divisioni e rancori finiti in guerre, dovete essere sempre disposti ad accorciare le distanze». Un giovane prete all’uscita è chiaro: «Sono 30enne ma mi sentivo un 60enne. Le parole del papa mi hanno ringiovanito».
«Superare i tempi di divisione e violenza implica non solo un atto di riconciliazione o la pace intesa come assenza di conflitto, ma l’impegno quotidiano di ognuno di noi ad avere un sguardo attento e attivo che ci porta a trattare gli altri con quella misericordia e bontà con cui vogliamo essere trattati»: queste parole pronunciate allo stadio di Zimpeto sono quelle che rimarranno nei cuori dei mozambicani.