Sogniamo un’altra politica
Dopo l’uccisione di Marco Biagi, freddato sotto le sue finestre mentre tornava in bici a casa, l’atmosfera del dibattito tra i gestori del potere è diventata irrespirabile. Non abbiamo di proposito usato il termine “dibattito politico”, perché sogniamo che la politica sia un’altra cosa, ad esempio servizio al paese, impegno per il bene comune, ricerca di valori condivisi, giacché solo nella pace una comunità progredisce. Invece siamo costretti ad assistere, intristendoci sempre più, ad un crescendo di conflittualità che mette continuamente a nudo egoismi di parte e volgarità. È uno spettacolo che sarebbe perfino ridicolo, se non fosse drammatico e irresponsabile per il paese. Diseducativo perfino per iDiseducativo perfino per i bambini, che cerchiamo di mettere a letto prima dei telegiornali. Qualcuno prova ad intervenire per ricondurre i “poteri” alla ragione, ma invano. Sordi a tutti i richiami, zittiscono un attimo quando Ciampi li sgrida, ma poi riprendono subito i litigi. Il presidente moltiplica gli interventi, nobili e fermi, e sicuramente le sue parole sono servite finora ad impedire una deflagrazione istituzionale. Ma sia il suo impegno, che quello consonante dei vescovi, non sono riusciti finora a disinnescare la radice di questa esasperata conflittualità. Quali sono le cause di tale patologia sociale? In molti se lo chiedono. Segnaliamo, tra le altre, una riflessione apparsa sul Corriere della Sera del 19 marzo; una analisi lucida, ma che non condividiamo interamente. “Mercato e impresa – scrive Angelo Panebianco – non sono mai stati al centro della cultura politica nazionale, né hanno mai goduto, nei decenni trascorsi, di un punteggio alto nella gerarchia dei valori etico-politici che le élite proponevano al paese. La società è a tal punto cambiata nel decennio trascorso che oggi è accaduto l’impensabile: sono al potere forze che indicano nell’imprenditore, più che nel lavoratore dipendente, il modello cui conformarsi e nell’impresa il luogo dei valori più positivi. È logico che lo scontro sia così esasperato.A contrapporsi sono due diversi populismi, uno di tipo reaganiano, e uno di tipo socialista- solidarista. In gioco non ci sono quindi solo due “politiche”, ma due opposte visioni morali”. Siamo convinti che molti non si riconoscano in nessuno dei due modelli ai quali l’editorialista sembra ricondurre l’universo sociale oggi. Non nella “visione morale” del lavoratore dipendente e nella sua dimensione socialista-solidarista; e neppure in quella dell’imprenditore e del suo paradiso aziendale, luogo privilegiato, a suo dire, di valori positivi. Sono due populismi, comodi per i sociologi, ma lontani dalla verità della vita di donne e uomini che lavorando, amando e crescendo famiglie tra mille difficoltà, intessono una società dove la gente preferisce stare in comunione invece che in competizione. Sappiamo che molti, invece, anche politici impegnati soprattutto a livello locale e nel governo delle città, vanno costruendo senza clamori una prospettiva socio-politica diversa, attingendo da altre sorgenti di valori. “La famiglia può ispirare delle linee per contribuire a cambiare il mondo di domani. Dio l’ha creata come segno e tipo di ogni altra convivenza umana. Occorre umanizzare strutture e istituzioni, dar loro un’anima, in modo che lo spirito di servizio raggiunga quell’intensità, quella spontaneità e quella spinta d’amore per la persona che si respira nella famiglia”. È una proposta annunciata da Chiara Lubich già nel ’93. Noi non ci sentiamo né kennedyani, né reaganiani, e insieme a quanti vivono e lavorano nella linea di cui sopra, assistiamo allo “scontro esasperato” del nostro adolescenziale presente politico, dandoci da fare per decantare le tensioni e sottolineare ciò che unisce. Prima o poi, si arriverà alla maturità costruttiva di una politica che attinge dall’amore fraterno la sua logica e la sua metodologia di confronto.