Soddisfazione in India per il ritorno dei marò

Serpeggia nel Paese asiatico la percezione di una vittoria diplomatica nel confronto con l'Italia, che ha ricevuto la garanzia che non verrà applicata la pena di morte in caso di condanna e che il processo verrà approntato in tempi brevi
I due marò italiani

La notizia del ritorno dei marò è stata accolta in India con entusiasmo e con l’orgoglio, nemmeno troppo celato, di aver ottenuto una vittoria diplomatica. Il Primo ministro Manmohan Singh ha dichiarato la sua soddisfazione per il «riconoscimento dell’integrità e dignità dei procedimenti giudiziari indiani». D’altra parte, gli organi di stampa, che hanno in genere riportato la notizia in prima pagina dando rilievo marcato alla decisione del nostro governo, uniscono alla soddisfazione una certa sorpresa e tentano possibili letture di un gesto che, fino a qualche ora prima dell’annuncio, pareva assolutamente impensabile.

Sono senza dubbio intervenuti nei giorni scorsi dei contatti informali fra i due ministeri degli Esteri per sondare possibili soluzioni e ottenere assicurazioni reciproche; il tutto, ovviamente, per evitare una escalation di tensioni che avrebbero nociuto ad entrambi i Paesi.

Pare evidente, anche se mai confermato da parte italiana, ma spesso ripreso dalla stampa indiana, che nel negoziato dietro le quinte si sia tenuto conto anche della questione della Finmeccanica, emersa nelle settimane scorse. Gli interessi, sebbene su sponde differenti, delle due amministrazioni coinvolte nel contenzioso, possono avere giocato un ruolo non indifferente nella trattativa marò. Del resto, a parte la garanzia di non applicare la pena di morte – ancora vigente nel Paese asiatico – nel caso i due militari italiani fossero riconosciuti colpevoli dal tribunale ad hoc indiano, un secondo elemento potrebbe essere stato l’assicurazione di procedere in tempi brevi dopo tredici mesi di passi lenti e di una situazione snervante sia per gli accusati che per la diplomazia.

Il quotidiano The Hindu, ha riferito di un messaggio inviato dal ministro degli Esteri indiano, l’on. Salman Khurshid, al l’incaricato d’Affari presso il Quirinale – l’ambasciatore indiano è stato nominato ma il suo arrivo a Roma è stato sospeso a causa della crisi diplomatica –, nel quale si chiede di assicurare alle autorità italiane che i due fucilieri non saranno arrestati, una volta tornati in India. Lo stesso messaggio parla di assicurazioni riguardo alla pena di morte, di cui si è accennato. Kurshid ha riconosciuto che anche l’India ha un impegno nei confronti dell’Italia, quello di istruire un processo in tempi brevi.

Lo stesso ministro degli Esteri ha, tuttavia, riconosciuto la presenza di pressioni da parte di molti per una rottura delle relazioni diplomatiche fra i due Paesi. Nonostante questo, le autorità della diplomazia di Delhi hanno cercato di trovare e percorrere strade fatte di fermezza, ma anche aperte a soluzioni. È in tale senso che l’India aveva deciso «di trattenere ancora a Delhi il nuovo ambasciatore già nominato per la capitale italiana, cosciente che pochi istanti sono sufficienti a rompere i rapporti, ma che per ristabilirli ci vuole, poi, molto tempo».

A conferma che, a fronte della posizione tutt’altro che coerente del nostro Paese, anche in India le cose non sono del tutto chiare e i percorsi abbastanza accidentati, il quotidiano di Chennai ha riferito che una fonte del ministero degli Esteri indiano ha dichiarato, sotto condizione di anonimato, che i ritardi di settimane nella definizione della corte e dell’istruzione del processo da parte delle autorità indiane competenti non sono giustificabili. Ha, tuttavia, sottolineato che il suo Paese si è trovato a «gestire una situazione all’interno di un ambiente carico di tensioni e, quindi, con la necessità di massima cautela nei passi da compiere».

In generale, comunque, come sintetizzato in un editoriale apparso su notiziari online, in India si ha la percezione di una vittoria, grazie alla fermezza delle posizioni della diplomazia di Delhi e alle misure prese nei confronti dell’ambasciatore italiano, che era stato invitato a non lasciare il Paese.

Si resta in attesa dei prossimi passi sia della diplomazia che della formazione del tribunale che dovrebbe, finalmente, dar inizio ad un processo che, se la situazione dell’anno trascorso dai fatti permarrà avrà ben poco di giuridico, quanto, piuttosto, di politico e diplomatico.

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