Società italiana e dramma della guerra in Medio Oriente

Mentre si allarga il conflitto con il bombardamento sul Libano, è tornata alla ribalta in Italia la questione israelopalestinese. Il rischio di una diffusa giustificazione della violenza e la necessità di dare spazio alla ricerca politica di una pace giusta. Forti timori per il divieto alla manifestazione pro-palestina indetta a Roma per il 5 ottobre. I movimenti per la pace annunciano una mobilitazione nazionale per il 26 ottobre
Presidio per la pace in Medioriente organizzato da Cgil, Anpi e Arci, Milano 1 Ottobre 2024 ANSA/MATTEO CORNER

Sono fondati i timori di scontri violenti a Roma in occasione della manifestazione indetta per sabato 5 ottobre 2024 dall’associazione dei giovani palestinesi in Italia e da altre sigle. Una data fissata in prossimità della ricorrenza del compimento di un anno dalla strage compiuta da Hamas il 7 ottobre 2023 colpendo militari e civili nel territorio israeliano contiguo la Striscia di Gaza e provocando la morte di quasi 1200 persone e il rapimento di 250 ostaggi da usare come arma di ricatto contro la prevedibile reazione del governo Netanyahu.

La prevedibile vendetta predisposta da Tel Aviv ha comportato finora la morte di oltre 40 mila persone in un’area tra le più densamente popolate al mondo con la distruzione di buona parte del territorio controllato da Hamas.

Le stime delle vittime, in gran parte civili oltre i combattenti dell’organizzazione politico militare palestinese, sono contestate perché provenienti dal Ministero della Sanità della Striscia di Gaza, ma la carneficina in atto è sotto gli occhi del mondo. O meglio, lo è in maniera differente perché, nonostante il diffuso accesso ad Internet, le televisioni occidentali, in genere, non riportano le immagini che ad esempio arrivano da Al Jazeera, la rete televisiva satellitare che ha sede in Qatar, che ha numerosi corrispondenti sul campo, molti dei quali rientrano tra gli oltre 120 operatori dei media rimasti uccisi finora in quell’area.

Come si temeva il conflitto si sta espandendo fino ad interessare il Libano, confinante al nord con Israele, dove è forte la presenza di Hezbollah, il partito politico militare sciita legato al regime iraniano, attivo nel lanciare missili contro Israele. L’aviazione israeliana sta colpendo in queste ore la città di Beirut, dopo aver ucciso il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, considerato finora imprendibile. Il sistema di intelligence israeliano ha permesso di colpire l’obiettivo con decine di bombe antibunker, le temibili Blu-109 da 9 quintali, di fabbricazione statunitense, in grado di esplodere dopo aver perforato lo strato di cemento dei bunker. Non si contano gli “effetti collaterali” sulla popolazione libanese di queste azioni contro Hezbollah, considerata organizzazione terroristica dagli Usa e poi anche dalla Ue.

Attacco all’Onu
È forte la preoccupazione per le forze di interposizione dell’Onu, con la missione Unifil a guida italiana che rappresenta un fiore all’occhiello per il nostro Paese. Il bombardamento del territorio libanese è iniziato mentre il primo ministro israeliano interveniva all’assemblea generale delle Nazioni Unite definendo la sede del Palazzo di vetro una “palude antisemita”. La situazione si è ulteriormente aggravata nei confronti del segretario dell’Onu Antonio Guteress che è stato dichiarato persona non grata dal ministro degli Esteri del governo israeliano, Israel Katz, esponente del Likud, che ha accusato pesantemente le politiche di Guterres, come riferisce l’Ansa, di aver «fornito sostegno ai terroristi, agli stupratori e agli assassini di Hamas, Hezbollah, Houthi, Iran».

Il segretario generale dell’Onu è stato accusato, in particolare, di non aver condannato esplicitamente il lancio di 200 missili iraniani contro Israele effettuati da Teheran come risposta all’azione in corso contro Hezbollah. Gli ordigni sono stati intercettati dal sistema antimissilistico israeliano provocando, al momento, la morte di un lavoratore palestinese di Gaza emigrato a Gerico.

L’azione senza sosta di Guterress è tesa ad evitare un allargamento del conflitto che avrebbe esiti imprevedibili in caso di aperto scontro con l’Iran, ma la strada sembra avviata in un piano inclinato che nessuno sembra in grado di arrestare.

Italia e Terra Santa
In questo anno la questione israelopalestinese è tornata all’attenzione dell’opinione pubblica italiana dopo un lungo periodo di disinteresse interrotto dagli scontri incentrati sulla Striscia di Gaza che hanno provocato anche recentemente pesanti bombardamenti. Città Nuova ha sostenuto nel 2021 il progetto promosso da Massimo Toschi con la Fondazione La Pira per assicurare le cure dei bambini palestinesi di Gaza, costretti a vivere in situazione di grande precarietà, grazie alla collaborazione con la Missione pontificia per la Palestina diretta dal palestinese Giuseppe Hazboun e l’israeliano Centro per la pace e l’innovazione Shimon Peres di Tel Aviv.

Nonostante la poca attenzione mediatica, fuorviata forse dalla cosiddetta pace di Abramo promossa da Trump, il Medio Oriente e la Terra Santa in particolare sono l’epicentro di un costante terremoto geopolitico mondiale.

Contrariamente a periodi precedenti in cui la società italiana aveva stretti legami con la causa palestinese sostenuta da un arco ampio dei partiti, il contesto attuale risente della tendenza, presente in particolare nei media, a classificare come antisemita ogni critica verso il governo israeliano, nonostante la presenza al suo interno di esponenti violenti e intolleranti quali Ben Gvir e Bezalel Yoel Smotrich come testimoniano fonti di stampa israeliane quali Haaretz e +972/Local Call, che sono un esempio di giornalismo libero e indipendente.

Ciononostante è tuttora viva e presente una parte della società civile che espone e sostiene le ragioni politiche dei palestinesi a partire dal riconoscimento dello Stato di Palestina che non è ancora avvenuto in Italia. È diffuso, ad esempio, il lavoro di Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite incaricato di riferire sullo stato dei diritti umani nei territori palestinesi occupati. L’esperta di diritto internazionale, fortemente sostenuta da Amnesty International, sostiene il termine di “genocidio” per descrivere quanto sta avvenendo a Gaza e ritiene che sia necessario perseguire immediatamente «i crimini internazionali commessi dalle forze di occupazione israeliane e da Hamas». Affermazioni fortemente condannate da Il Foglio, che si distingue tra le testate per la forte posizione filo israeliana.

Il dilemma tra violenza e ricerca della pace giusta
È molto alto in tale contesto storico politico internazionale, contrassegnato da una lunga storia di dolore e rancore, il rischio di arrivare a giustificare la violenza e le reazioni estreme sotto il segno dell’autodifesa e l’uso di categorie “resistenziali”. Si assiste con sgomento alla definizione dell’eccidio del 7 ottobre come espressione necessaria di una guerra di liberazione degli oppressi, così come alla presentazione dei bombardamenti sulla popolazione civile di Gaza come azione antiterrorismo.

Contro tali tesi autodistruttive è importante perciò dare spazio e conoscenza, come stiamo cercando di fare su Città Nuova, a tutte le iniziative in controtendenza che mirano a riconciliare palestinesi ed ebrei israeliani,  on solo come testimonianza di umanità ma come ragione politica da far valere in tutte le sedi. Allo stesso tempo è indispensabile sostenere l’interruzione della fornitura di armi.

Diversamente da altri Paesi, in Italia non ci cono stati divieti all’indizione di manifestazioni pro Palestina, anche se in queste occasioni è inevitabile l’emergere di posizioni molto distanti tra gli stessi palestinesi che son divisi in numerose fazioni. (Fatah e Hamas si sono scontrati militarmente per il controllo di Gaza nel 2007).

Nonostante il divieto disposto dal Ministero degli Interni, criticato da alcuni costituzionalisti, si prevede per il 5 ottobre a Roma la concentrazione di 30 mila persone di diverse sigle nel luogo simbolico della Resistenza di piazzale Ostiense. Non hanno aderito i responsabili della Comunità palestinese in Italia, tradizionalmente vicini all’Anp, che hanno indetto una nuova manifestazione per il 12 ottobre.

«Chiediamo che sia garantito il diritto e la libertà di manifestare in modo nonviolento e pacifico come prevedono la Costituzione italiana e la Dichiarazione universale dei diritti umani» afferma la coalizione Assisi pace giusta che, assieme a Europe for peace e altri, ha indetto per il 26 ottobre una manifestazione nazionale diffusa per «chiedere il cessate il fuoco, i negoziati e le conferenze di pace, per la fine di tutte le guerre, per il rispetto del diritto internazionale, per interrompere il complice silenzio delle istituzioni europee, per la protezione e l’assistenza alle popolazioni civili, per il diritto di auto-determinazione di tutti i popoli, per porre fine ai massacri, alle occupazioni, a tutti gli atti di terrore e ad ogni forma di antisemitismo e di islamofobia, per fermare la folle corsa al riarmo, per costruire pace e sicurezza comune». Un programma da declinare politicamente.

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