«Io so’ di Torre Maura e nun so’ d’accordo»
È diventato virale sui social network − ed è una lezione di civiltà per tutti – il video in cui un ragazzino di 15 anni affronta, chiaro e deciso, i militanti di CasaPound accorsi a Torre Maura per organizzare l’opposizione al trasferimento nel quartiere di un gruppo di 70 persone di etnia rom.
Una protesta che ha raggiunto l’apice, mediaticamente, l’altra sera, quando – tra saluti romani di fascista memoria – sono stati distrutti e calpestati i panini che servivano per sfamare gli sfollati: un gesto accolto con disdegno da quanti se lo sudano e pensano che un pezzo di pane è sacro e non si nega a nessuno, che il cibo non si spreca, che la condivisione degli alimenti è un atto di umanità e quanto di più antico, nobile, naturale e solidale ci sia in una comunità, soprattutto quando ci sono anche dei bambini e delle donne incinte che aspettano affamati di poter mangiare.
Ebbene, dopo la decisione della sindaca Virginia Raggi di trasferire altrove i rom, visto anche l’assedio di cui la comunità è stata vittima – nonché i calci e i colpi assestati al pullman che li trasportava –, nel quartiere di Torre Maura sono continuati i presidi delle forze politiche riconducibili all’estrema destra. Per strada sono però scese anche persone che non condividevano quella mobilitazione, come il ragazzino che – piccolo e fragile davanti ai militanti – non ha temuto di dire la sua, rifiutando bollini politici di qualunque tipo e il razzismo facile che porta alle discriminazioni, in particolare delle minoranze.
Di fronte a Mauro Antonini, responsabile per il Lazio di CasaPoundItalia, che in una diretta sui social affermava: «Noi presenti, qua, siamo tutti d’accordo, tutto il quartiere…», dapprima ha detto «No, io so’ de Torre Maura e nun so’ d’accordo». Poi, con coraggio, ha spiegato le sue ragioni. «Secondo me – ha detto al militante che lo fronteggiava –, lei è una persona molto intelligente e molto brava con le parole, ma lei sta facendo leva sulla rabbia della gente di Torre Maura, il quartiere mio, trasformando questa rabbia nei suoi interessi, nei suoi voti. Questo è secondo me quello che sta facendo, anche legittimamente. Secondo me quello che è successo ieri è uno strumento per far sentire a Roma, a tutte le istituzioni, che Torre Maura sta in una situazione di degrado. È stata solo una chiave per farsi sentire».
Ma tu sei contento, gli chiedono, «che hanno messo 70 rom qua?». «A me 70 persone non mi cambiano la vita. Per me il problema non è “chi” mi svaligia casa. Il mio problema è “che” mi svaligiano casa. Questo fatto che se mi svaligia casa un rom tutti gli devono annà contro, se però è un italiano sto pure zitto sul fatto che è italiano. Questa cosa che si va sempre contro la minoranza non mi sta bene, no!». «Ti sembrano una minoranza – gli controbattono – i rom in Italia?». «Sono una minoranza che sì, siamo 60 milioni in Italia. Quello che voglio dire è che secondo me nessuno deve essere lasciato dietro: né gli italiani né i rom né gli africani né qualsiasi tipo di persona, perché io sono sicuro…». E qui parte la contestazione – «Ah, tu sei sicuro?» – alla quale il ragazzino dice che sì, è sicuro, «perché almeno io penso, non mi faccio spigne dalle cose vostre».
«E quelli della tua fazione politica…?», insinua uno. «Io non c’ho nessuna fazione politica, io so de Torre Maura, che è diverso». A questo punto uno dei capi della mobilitazione si avvicina al ragazzino, gli mette la mano sulla spalla e gli agita l’indice davanti alla faccia. Il ragazzino non si sposta di un millimetro e continua imperterrito a difendere le sue idee. E quando l’adulto gli dice: «Il comune di Roma qua dentro a Torre Maura non ci dà nessun servizio…», ribatte: «Ed è colpa dei rom?».
Questo ragazzino – di cui abbiamo scelto di non mostrare il video né di riportare il nome – ci interroga tutti, ci umilia anche, perché ci ha dato una lezione di dignità ed ha avuto il coraggio di dire con semplicità e convinzione che siamo tutti uguali, che nessuno va lasciato indietro, che quel quartiere è davvero abbandonato e che sì, bisogna darsi da fare, ma non darsi addosso.
Parole in linea con quanto affermato dal segretario della Cei, Stefano Russo, che ha dichiarato: «Bisogna stare attenti a non favorire una guerra tra poveri». Lo sguardo della Chiesa, ha spiegato, guarda alle persone, chiunque esse siano, e alla loro accoglienza.
Il modo in cui quel ragazzino e tanti altri suoi coetanei si stanno stagliando, per la loro grandezza d’animo, di fronte agli adulti (si vedano anche Greta Thunberg e i tanti che hanno aderito alla sua protesta contro l’inquinamento e il riscaldamento globale), li rendono sempre più credibili, coraggiosi e ci fanno sperare davvero in un futuro migliore.
Papa Francesco si è rivolto ai ragazzi con la sua esortazione post sinodale chiedendo loro di «osare di più, aver voglia di conquistare il mondo, saper accettare proposte impegnative e voler dare il meglio di sé per costruire qualcosa di migliore. Per questo insisto coi giovani che non si lascino rubare la speranza». E questo è quanto stanno facendo, da una borgata di periferia alle strade di un freddo Paese nordico, alle foreste di un villaggio. I giovani stanno provando a dire la loro e saranno sempre pronti – e per fortuna! – a smascherare noi adulti gridando, come nel racconto di Andersen “I vestiti nuovi dell’imperatore”, che il re è nudo. Noi, almeno, cerchiamo di non rubare loro la speranza e il futuro.