Sniffa oggi, sniffa domani…

Perché un ragazzo si droga? Come possono affrontare la situazione i genitori? Alcune testimonianze.

«Mi puoi kiamare prima possibile x favore?». «Certo, fra poco esco dall’ufficio». L’sms di Giulia, 17 anni, mi mette nell’animo, non so perché, una certa inquietudine. Appena arrivata a casa, giusto il tempo di togliermi la giacca e vado al telefono. «Pronto Giulia, che succede? ». All’altro capo una voce preoccupata. «Sai, ho fatto una bruttissima scoperta, Debora si droga!». «Cosa?». «Sì, hai sentito proprio bene. Si fa con la coca e da parecchio tempo. Me l’ha confidato l’altro ieri in preda alla disperazione».

L’amica di Giulia, Debora appunto, di anni ne ha 14 e, a quanto sembra, già da due fa ricorso a qualche sniffatina. «Ma dove se la procura?». «A scuola. Eh, sapessi quanta ne circola! Certi istituti sono spacci a cielo aperto». «Che facciamo?». Già, che facciamo? Che si fa in questi casi? Tante, troppe sono le situazioni come questa appena descritta nel racconto di un’amica sconvolta dalla triste vicenda. È boom infatti della cocaina fra i giovani e persino fra gli adolescenti.

E chi non dovesse trovarla per strada o a scuola, può procurarsela online, dove si stanno moltiplicando i negozi specializzati nella vendita delle più diverse tipologie di sostanze stupefacenti. Un fatto che, come spiega il rapporto, mette a dura prova le politiche di contrasto alla droga e i meccanismi di controllo a livello nazionale e internazionale.

A facilitare la diffusione della coca contribuisce, oltretutto, il prezzo accessibilissimo: costa come una pizza e con 30 euro arrivano a sniffarci anche in 4; c’è poi chi, pur di creare il mercato, per un certo tempo la regala, come mi racconta Giorgia che nella sua scuola sta combattendo una dura lotta per non cadere nel meccanismo perverso. Come Andrea, che confida: «Io non so se riesco ancora a resistere. Se non sniffo mi prendono in giro e se cerco di dire qualcosa mi minacciano». «Ma perché la prendono i vostri compagni?», chiedo. «Per tanti motivi», rispondono. «Uno, perché se non ti fai rischi di essere tagliato fuori dal gruppo e di rimanere isolato; due, perché la coca ti fa sentire capace di tutto; tre, perché comunque si è sicuri che ci sia una via di ritorno e che si possa smettere quando si vuole; quattro, perché l’idea del tossicodipendente è legata ad altre sostanze, tipo eroina, mentre se prendi la coca sei solo rock, insomma sei alla moda e sai com’è alla nostra età anche i ragazzi più normali cadono nel giro». Già, a 14, 15, 16 anni… con genitori assenti, o separati, o travolti dai ritmi frenetici della nostra società, dove il tempo è tiranno e coi figli ci si incrocia solo in qualche momento della giornata se non della settimana. «I miei genitori non li vedo quasi mai – lamenta Matteo che in pratica vive coi nonni –. Quando tornano dal lavoro sono stanchi e non hanno tempo di ascoltarmi. E poi che male c’è a sniffare, tanto papà e mamma mi permettono di tutto».

Quando nostro figlio si droga

Antonella e Piero di Caserta da otto anni sono alle prese con un figlio che dallo spinello è passato alla coca e poi all’eroina, ed ora ne sta venendo fuori grazie ad una comunità di recupero, dopo aver conosciuto anche il carcere. «Roberto ha cominciato a scuola intorno ai 16 anni con la sicurezza di poter smettere in qualsiasi momento – raccontano –. Ha sempre avuto un carattere introverso, ma verso il terzo anno delle superiori, in seguito a certi comportamenti abbiamo cominciato a preoccuparci e ci è venuta paura. Vani i tentativi di parlare con lui, ha sempre negato ogni cosa. La conferma è arrivata quando è stato fermato dai carabinieri con una dose di cocaina addosso». È cominciato allora un percorso col Sert, con uno psicoterapeuta e anni molto difficili per la famiglia coinvolta nelle crisi, negli attacchi violenti di Roberto, nelle speranze e nelle delusioni. Finché si è aperta la strada della comunità ed è cominciata la fase di recupero totale. Cosa consigliereste a dei genitori che scoprono che un figlio si droga? «Prima di tutto diremmo loro di non tenere per sé questo problema, perché è l’errore che noi abbiamo fatto all’inizio per la vergogna che provavamo. Non si risolve anche se i ragazzi promettono di non farlo più. Per noi è stato fondamentale fare il passo di comunicare a qualcuno della nostra comunità quello che stavamo vivendo. Inoltre è efficace fare riferimento a ragazzi che hanno avuto la stessa esperienza e ne sono usciti. Collaboriamo con un centro di ascolto per le tossicodipendenze e vediamo quanto sia importante la loro testimonianza anche nelle scuole dove magari è successo che alcuni ragazzi si siano aperti e siano emerse situazioni difficili». E, a proposito di scuola, visto che Antonella e Piero sono insegnanti: «Si fa molto poco – si lamentano –, magari si dà spazio ad un’informazione generica con uno specialista che presenta quali sono le droghe, i rischi che si corrono. Però poi tutto finisce lì. Ci vorrebbero progetti più seri, incontri individuali perché il ragazzo non mette fuori i suoi problemi davanti a tutti, una rete che coinvolga i genitori nel metterli a conoscenza del problema. C’è tanta leggerezza verso questo fenomeno, soprattutto verso la cocaina che viene considerata una sorta di droga ludica; invece è la più pericolosa perché va direttamente al cervello. Basta niente per scombussolarti».

Non mollare

Anche Nadia di La Spezia mi racconta il dramma di un figlio che a 17 anni comincia ad essere strano, ad isolarsi in un mondo tutto suo, a rifiutare il dialogo e qualsiasi aiuto. Perennemente insoddisfatto, cupo, come avesse un vuoto interiore ed un gran smarrimento. «Sembrava che tutto ciò che di bello e positivo da sempre avevamo cercato di trasmettergli, erano come scomparsi…. Cosa fare? Ci rivolgiamo a persone competenti, che iniziano a seguirlo, ma non riescono in tempi brevi a valutare la portata del fardello che si porta dentro. Il timore diventa ben presto certezza e non può che generare smarrimento, incredulità. Cominciamo a prendere contatto con una realtà sino a quel momento sconosciuta – continua –, relegata nelle trasmissioni televisive o sugli articoli di giornali, ma estranea al nostro mondo, lontana anni-luce dalla quotidianità. C’è un’alternanza di sentimenti che ci stringono il cuore: un’infinità di sospensioni, la consapevolezza dell’estrema fragilità del ragazzo, il non saper come comportarsi, a chi rivolgersi, l’umiliazione di frequentare certi ambienti, un certo senso di colpa che si insinua lentamente. Occorre non mollare, combattere con tutte le forze, non cedere. Non serve nascondersi, chiudersi in questo dolore; occorre invece mantenere vivo il contatto con altri genitori, farsi aiutare a metabolizzare questa sofferenza, portarla insieme, condividerla. Trovare l’umiltà di dire: Da solo non ce la faccio, ho bisogno di sostegno». Momenti duri, notti bianche, tante, fino a ritrovare l’uscita dal tunnel anche nella famiglia di Nadia. Perché uscirne, comunque, si può, anche se è dura. Meglio sarebbe, pur senza inutili allarmismi, tenere alta la guardia e, soprattutto, privilegiare sempre, in famiglia, rapporti sani.

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