Smart working, tra luci e ombre
Oltre l’emergenza è ora il tempo di affrontare il nodo dello smart working. “Settembre è tempo di migrare “… o di iniziare. Una ripresa, dopo la pausa estiva, che ha il sapore e tutte le incognite dei grandi cambiamenti.
Ma come abbiamo lavorato nei mesi dell’emergenza? Abbiamo sperimentato un home working o extreme working (forzoso), non abbiamo quindi né conosciuto né vissuto lo smart working.
Ad affermarlo il professor Alessio Musio, ordinario di Filosofia morale all’Università Cattolica Sacro Cuore Milano, che pone una premessa e cioè: «per far fronte all’emergenza (come quella causata dall’epidemia da coronavirus) bisogna rendersi conto di ciò che è veramente irrinunciabile, non certo di che cosa possiamo sospendere. Perché in una condizione di emergenza ci si accorge in modo esponenziale della dinamica sottesa alla vita morale stessa, cioè al fatto che non si possono simultaneamente realizzare tutti i beni e le possibilità. L’accento è sull’irrinunciabile, non sulla dinamica delle concessioni o sospensioni sovrane».
Ecco perché è opportuno – come propone l’azienda Variazioni di Mantova che si occupa tematicamente proprio di smart working – mettere in atto strategie di smart working come scelta (opportunità) e non come dovere (obbligo), considerando che in Italia il fenomeno è molto esteso.
Infatti, secondo il ministero del lavoro rispetto agli 8 milioni di lavoratori “smart” registrati durante l’emergenza, circa il 50% dei lavoratori presta la propria attività ancora da casa, (si ricorda che prima di marzo 2020 gli smart worker erano stimati in 500 mila, fonte Cnel).
E non è una esperienza isolata quella di un’azienda del terziario avanzato di Roma – con sede anche a Torino – per un totale di circa 200 dipendenti in home working da marzo, spiega Luca Failla avvocato, founding partner Lab Law che, a fronte di attività e produttività aumentate, ha deciso di avvalersi della sola prestazione in smart coinvolgendo sia tutti i lavoratori, ad uno ad uno, per stipulare un accordo individuale, sia i sindacati a norma della legge n. 81/2017. Accordi con clausole ad hoc che prevedono la fornitura da parte dell’azienda di scrivania, pc, strumenti di lavoro vari, linea dedicata pagata nonché il diritto alla disconnessione, lavoro per obiettivi, riunioni periodiche anche in presenza.
Il ministro del lavoro ha invitato sindacati e Confindustria a un tavolo di lavoro in calendario il 24 settembre 2020 per «una nuova regolamentazione dello smart working superando la legge n. 81/2017 affidata in particolare alla contrattazione collettiva e aziendale» come spiega il sottosegretario al lavoro Stanislao Di Piazza «al fine di meglio tutelare le categorie più deboli che saranno individuate e garantire le opportunità di lavoro per tutti sia in presenza che in smart working».
In materia di lavoro agile “è importante il ruolo del ministero del lavoro quale arbitro tra la ricerca di efficienza delle aziende e le maggiori tutele offerte al lavoratore” così Stanislao Di Piazza, che sottolinea come «occupandomi in prima persona di economia sociale ho particolare sensibilità ai temi del capitale umano e del capitale economico. Siamo consapevoli che l’applicazione dello smart working modificherà i comportamenti. Se da un lato i grandi centri urbani saranno svantaggiati nei settori della ristorazione e dei servizi, dall’altro potranno essere riqualificati i borghi che saranno ripopolati di giovani. Potrebbe sorgere un nuovo indotto ad esempio con l’apertura di palestre, ecc. Sicuramente saranno provocati nuovi circuiti virtuosi, percorrendo la strada della sostenibilità in vista dell’agenda 2030».
Sul fronte delle opportunità, prosegue il professor Musio, l’home working è stata l’occasione «di correggere la nostra normalità attraverso l’eliminazione di viaggi inutili e il superamento della tentazione di iper-presenza al lavoro non sempre positiva» in quanto sottrae al lavoratore il tempo da dedicare alla famiglia e/o al tempo libero.
«Il lavoro a distanza è inoltre un’opportunità per far crescere l’altro; sia a livello gerarchico che paritario tra colleghi; si lascia cioè più spazio di espressione e si impara ad affidarsi».
Lo smart working poi deve tendere alla «reale conciliazione dei tempi di vita e lavoro, che – è bene dirlo – non è un tema solo femminile ma per tutti. In questi mesi abbiamo assistito infatti al collassare della differenza dei luoghi di lavoro e di vita nell’unico contesto della casa. Ciò è in antitesi con i temi della conciliazione tra vita e lavoro, dato che il concetto di conciliazione presuppone esattamente la differenza degli ambiti quale requisito fondamentale per la sua realizzazione».
È sempre Musio a metterci in guardia dai possibili rischi dello smart working: «la tendenza della civiltà tecnologica è quella della smaterializzazione, in fondo a prescindere dai corpi. Se abbiamo ecceduto a volte in una iper-presenza, è necessario vigilare sulla non distruzione della presenza».
Occorre riconoscere poi che «la tecnologia è un ambiente che ha in sé l’ambivalenza degli effetti (positivo e negativo): riduce i tempi vuoti, taglia cose inutili e quindi aumenta il controllo, riducendo però anche lo spazio della imprevedibilità (anche positiva). Il prezzo che paghiamo come uomini è l’aumento della solitudine, in quanto la presenza richiede la pluralità degli incontri umani».
Pertanto, lo smart working, come dinamica positiva, dovrebbe andare nella direzione non della «sostituzione del lavoro in presenza ma della integrazione delle due modalità».