Sisto V, “il papa tosto”

Così lo chiamavano i romani, spaventati dall’energia del pontefice marchigiano. Che cambiò il volto della città
Sisto

Era il primo maggio 1585. Il nuovo papa era un marchigiano, fra’ Felice Peretti, un campagnolo che ora si trovava ad essere papa Sisto V. Mentre in Vaticano si festeggiava con tutta la pompa possibile a Castel Sant’Angelo, quattro giovani, condannati a morte per possesso abusivo di armi, venivano decapitati. Il papa non aveva voluto dare la grazia in nessuna maniera. Così comincia la leggenda del papa tosto che nel conclave si era finto malato e col bastone, buttandolo per aria non appena eletto. Leggenda, ovviamente, Sisto era un contadino con una salute di ferro. Deciso a fare tutto sul serio, come capo di Stato in una Roma che brulicava di assassini e come capo del cattolicesimo della Riforma.

Alla quale lui, francescano colto, predicatore e inquisitore formidabile, ex confessore di Pio V e come lui severo, ci teneva moltissimo. E lo fece vedere in molti modi.

Uno è sotto gli occhi di tutti, ed è piazza San Pietro. Sisto aveva deciso. Tolte le statue pagane dalla sommità delle Colonne Traiana e Antonina, sostituite da quelle bronzee di Pietro e Paolo, il piazzale deserto doveva essere riempito dal dito gigantesco che indicasse il cielo, cioè l’obelisco di Nerone, alto 40 metri. Era il 10 settembre 1586. C’erano impegnati 900 uomini, 75 cavalli, 40 argani. Sisto aveva deciso: condanna a morte per chiunque parlasse. Nessuno fiatava. Ma ad un certo punto la manovra non funzionava, l’obelisco cominciava a inclinarsi, si sarebbe sfracellato al suolo. Una voce, grida: “Acqua alle corde!”. Gli operai eseguono e il monolite si rialza ed eccolo ancora lì in piazza. Il povero uomo viene preso, condotto davanti al temibile Sisto. Che però lo perdona e lo ringrazia.

Questo era anche Sisto. Che non mollava quanto a costruttore e lo si vide quando decise di terminare la cupola di Michelangelo ancora vuota facendovi lavorare dal 1588 al 1590 giorno e notte, a turno, 800 operai. Roma doveva essere il centro della cattolicità e lo si doveva vedere. Il papa era infaticabile nel demolire e nel costruire, senza tener conto dell’antichità, fosse pagana o cristiana. Non si salvò il Patriarchio del Laterano: scomparvero cappelle di papi antichi, cicli musivi, l’aula di Bonifacio VIII decorata da Giotto, rimasero solo la cappella delle reliquie ora inglobata nella “Scala Santa” e il mosaico di Leone III che si affaccia su piazza San Giovanni. L’architetto di fiducia Domenico Fontana costruì il massiccio Palazzo del Laterano e l’attuale pontificio a San Pietro: non si può dire che siano capolavori.

Ma non bastava, bisognava tracciare una rete stradale nuova: Sisto la fece fare collegando Trinità dei Monti con il Laterano e santa Croce in Gerusalemme, l’attuale via Sistina, collocandovi antichi obelischi. Per sé poi edificò come sepolcro una vasta cappella in Santa Maria Maggiore, dove lo si vede inginocchiato in preghiera davanti alla Vergine.

Il papa tosto e severo era però un uomo devoto, semplice, che sollecitava la fede cattolica e aveva amici come Camillo de’ Lellis, Ignazio de Loyola, Filippo Neri, cioè i grandi personaggi della Riforma cattolica. Quest’uomo dinamico, che aveva anche da fare con la grande politica – personalità come Filippo II di Spagna, Elisabetta I d’Inghilterra che volle assalire inutilmente, Enrico IV di Francia – era un uomo di cuore: liberò gli ebrei dal ghetto, creò un ospizio dei mendicanti per 200 bisognosi al giorno.

La sua fede ardente lo rese un riformatore deciso, cominciando dal luogo da cui erano derivati tanti mali che avevano creato dei predecessori disastrosi per la Chiesa, cioè il collegio cardinalizio. Decise: 15 congregazioni – cioè ministeri –, 70 cardinali, tutti ordinati, nessuno con donne o figli a carico. Era un monito anche per il predecessore Gregorio XIII, che non lo amava e che aveva un figlio da sistemare. Una riforma durata fino a Giovanni XXIII. Non basta: Sisto condanna duramente l’aborto e l’adulterio, imprigiona ogni sorta di delinquenti a Roma anche gente della Curia, ordina ai vescovi di recarsi ogni 5 anni a Roma per riferire sulle loro diocesi, incoraggia i missionari, fonda la prima scuola pubblica a Lima in Perù e riceve persino un gruppo di nobili cattolici giapponesi. In più riforma il breviario, la Bibbia e fa nascere la prima stamperia vaticana.

In 5 anni è un diluvio di riforme e lui non è mai stanco. Ma la malaria gira a Roma da sempre. Sisto la prende, si cura da solo e la sera del 27 agosto 1590 mentre un terribile temporale sfianca Roma, si confessa e muore. Era nato a Grottammare il 13 dicembre 1521 da una povera famiglia. Le Marche, che in diversi luoghi ospitano le sue statue in bronzo, lo stanno celebrando con mostre e pubblicazioni. Non un santo, ma un amico di santi, un uomo dal coraggio indomabile. L’uomo giusto al momento giusto adatto a dare una sterzata alla Chiesa dopo le burrasche rinascimentali

I più letti della settimana

Il sorriso di Chiara

Abbiamo a cuore la democrazia

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons