Con che sistema elettorale vuoi votare?
Vediamo ora di collocare questo quadro generale nel contesto italiano attuale, che non è un terreno neutro, ma un groviglio di condizioni che modificano e limitano lo sviluppo positivo dei sistemi elettorali disponibili.
La prima possibilità è quella di ricorrere a un sistema maggioritario a un turno. In astratto ha il vantaggio di permettere una più facile identificazione dei vincitori, anche se si sottovaluta il fatto che in un Paese a macchie di leopardo come il nostro non è poi detto che la maggioranza vada se non ad un solo partito a una sola coalizione omogenea: il bipolarismo non è affatto scontato, come si è visto anche nelle ultime elezioni. Per ottenerlo, o almeno per cercarlo si finisce sempre nel surriscaldare l’opinione pubblica trasformando ogni competizione elettorale in una lotta fra angeli e demoni, col risultato che poi chi perde non riconosce il vincitore come legittimo (l’angelo non può legittimare il demone …) e lo scontro si trascina in continuazione. Una storia già vista dall’antiberlusconismo in poi e non con risultati positivi.
Da questo punto di vista un sistema maggioritario a due turni garantirebbe maggiormente che non si potessero avere dei colpi di mano per cui un vincitore per il rotto della cuffia si appropria di tutto il potere. Pur mantenendosi il problema di lotte fortemente organizzate come scontri fra il bene e il male (da cui deriva sempre una cattiva politica), la necessità di costruire alleanze più ampie per vincere vuoi al primo vuoi al secondo turno spingerebbe i contendenti a moderarsi almeno in alcuni contesti per poter attrarre i voti anche di quelli che non sono propriamente ascrivibili fra i loro fan. Il rischio più grande in questi casi è il mercato dei voti al secondo turno di ballottaggio: chi dispone del controllo di quote di consenso può mercanteggiare il sostegno ad uno dei due candidati con favori o altro, cosa che ovviamente inquina la politica.
Un sistema di tipo proporzionale consente che ciascuno si presenti diciamo così col suo volto e con la sua identità e che si veda quanto effettivamente è in grado di raccogliere in termini di consenso. Il rischio di un eccesso di frammentazione può essere ridotto ponendo delle soglie alte per essere ammessi alla ripartizione dei seggi. Questo, che in teoria sarebbe saggio, in pratica può diventare difficile se per far passare la legge elettorale in Parlamento si ha bisogno del voto di gruppi che hanno avuto risultati modesti nelle precedenti elezioni e che pertanto non sono disposti a votare a priori per la loro cancellazione.
Un altro problema che inevitabilmente si pone con i sistemi proporzionali è che in questi casi è più difficile che l’elettore possa “votare per la scelta del governo”. Anche se in campagna elettorale un gruppo di partiti chiedesse il voto presentandosi come una coalizione che poi darà vita ad un governo, non c’è ovviamente nulla che li obbligherebbe a tenere fede a quella promessa. Soprattutto nel corso della legislatura le condizioni potrebbero cambiare senza che ci sia obbligo di tornare a chiedere il consenso degli elettori.
Come si vede i problemi sono molti, ma ce n’è uno che non è imputabile ai sistemi elettorali e di cui, purtroppo, non si vuole tenere conto: è il rapporto che esiste fra la distribuzione dei poteri. Il principio classico della democrazia, “il potere limita il potere”, tende ad essere sottovalutato. Nel nostro sistema ciò che fa per esempio temere che si possa avere un governo troppo forte è la miriade di poteri che competono a lui e alla sua maggioranza: chi vince le elezioni non solo forma l’esecutivo, ma nomina i vertici della Rai, di tantissime istituzioni, distribuisce posizioni e prebende. Il rischio connesso è veramente una colonizzazione della sfera pubblica che poi ha sempre esiti negativi e che costituisce condizioni di inferiorità per chi non è “nelle grazie” del potere.
Altrettanto si dica per la tematica del bicameralismo paritario. È assurdo che continuiamo ad avere due Camere che fanno le stesse cose complicando la vita delle istituzioni, ma la ricerca per esempio di avere quantomeno sistemi di selezione diversi che articolino in maniera più ampia la presenza della società nelle istituzioni ha sinora trovato opposizioni feroci da una classe politica (ma non solo politica) che non vuole rimettere in gioco posizioni acquisite. Così non si riesce a costruire un ampio sistema di sedi diverse e articolate per le decisioni e per il loro controllo: il regionalismo ha avuto esiti zoppicanti e troppo spesso di replica dei mali del sistema centrale; le diverse “autorità” non sono riuscite ad imporsi come momenti dialettici nella distribuzione del potere e dei controlli.
Insomma, il passaggio che il nostro paese deve affrontare in questa fase è arduo e la ricerca di una legge elettorale che funzioni come la famosa (e inesistente) pietra filosofale che trasformava in oro quel che toccava non si sa dove ci porterà. Se l’opinione pubblica capisse però in maniera adeguata i termini delle questioni che ci troviamo davanti, credo sarebbe già un bel passo avanti.
Leggi qui la prima puntata e la seconda puntata