Siria: timori e speranze dopo il crollo del regime
Dopo 53 anni, il “regno” degli Assad è svaporato in pochi giorni. In realtà, negli ultimi 9 o 10 anni stava in piedi solo per il sostegno-controllo degli sponsor: Russia, Iran, ed Hezbollah libanesi. Venuti meno i sostenitori tartassati dalle guerre in corso (Ucraina e Libano), l’esercito del regime siriano, da tempo minato da fughe e diserzioni, si è sciolto come neve al sole di fronte alla marcia trionfale del conglomerato di milizie ribelli (37 organizzazioni tra piccole e un po’ di più) capitanato da Hayat Tahrir al Sham (Hts): l’Organizzazione per la liberazione del Levante. Dove con Sham-Levante si intende la Siria islamica, anzi islamista.
Ho conosciuto da vicino molti profughi siriani e le loro storie di fuga dalla guerra e dal regime, comprese intere famiglie e diversi giovani disertori dell’esercito: soprattutto cristiani, ma anche drusi e sunniti. Per questo le immagini trasmesse nei giorni scorsi da social e media le ho viste in certo modo attraverso i loro occhi. In particolare: Bashar accolto a Mosca da Putin, le statue dei vari Assad abbattute e le porte aperte del famigerato carcere di Sednaya, luogo di tortura e di morte per decine di migliaia di uomini, donne e bambini. Ma il video che mi ha colpito di più è forse stato quello di Abu Mohammed al Jawlani, il leader di Hts, che arriva a Damasco e si prostra in preghiera, dopo aver dichiarato la “vittoria islamica”.
Ho pensato a non pochi cristiani siriani incontrati nei campi profughi, che ancor più della fame, perfino della morte sotto le bombe, temevano soprattutto questo: una vittoria islamica. E pensavano agli orrori dell’Isis nell’est della Siria e in Iraq. Lo slogan di alcuni di loro era, all’epoca “Allah, Surya, Bashar wu bas”: Dio, Siria, Bashar e basta. In altre parole: meglio gli Assad della sharia.
La posizione del leader di Hts, al Jawlani, da lui espressa nel 2014 in un’intervista ad Al Jazeera, era infatti: «Combattiamo per stabilire la sharia. Non ci sarà posto nel Paese per infedeli come sono i musulmani sciiti, i drusi, i cristiani e gli alawiti del presidente Assad». In pratica la fotocopia dell’Isis – pensiero di Abu Bakr al Baghdadi.
Senonché, lo stesso al Jawlani si è ricreduto, anzi pare si sia addirittura evoluto. Lui stesso nel 2021 diceva alla rete televisiva statunitense Pbs, dopo aver accusato gli Usa di aver contribuito alla nascita dell’Isis: «Il vero governo islamico non può essere temuto, altrimenti come sarebbero sopravvissuti i cristiani in Medio Oriente sotto il califfato [storico] per 1.400 anni?».
Poco tempo fa, lo stesso al Jawlani era arrivato a confessare alla Cnn a proposito di sé stesso e della propria storia: «A 40 anni pensi in un modo, a 20 in un altro». Addirittura, nei giorni scorsi, ha ripetuto più volte e in varie versioni questo incredibile (e pericoloso) pensiero: «La sanguinaria dittatura di Assad è morta. L’Iran e la Russia hanno cercato di resuscitarla ma presto non ci sarà spazio neppure per americani e turchi in Siria… Nessuno ha il diritto di cancellare un altro gruppo. Queste comunità religiose [le minoranze] hanno coesistito in questa regione per centinaia di anni e nessuno ha il diritto di eliminarle».
Per quanto riguarda i cristiani latini, mi sembra significativa la testimonianza, pochi giorni fa, di padre Karakach, francescano e parroco ad Aleppo, pubblicata da Asianews: «Le forze dell’opposizione si danno da fare per normalizzare la vita nella città, e si nota facilmente quanto sono preoccupati di dare una nuova immagine di sé stessi al mondo che li osserva in questi giorni… mandano messaggi di tolleranza e civiltà, istituiscono commissioni di sicurezza, si rendono disponibili ad ogni richiesta, ecc. Hanno cominciato a pulire le strade dall’immondizia che si era accumulata e portano rifornimenti di vario genere nel tentativo di soddisfare il fabbisogno di una grande città come Aleppo e di tutti i suoi abitanti».
In realtà, nella Siria post-regime, non mancano certo problemi, sfide, rischi. Enormi. Accennavo al “pericoloso pensiero” tollerante di Mohammed al Jawlani, il leader di Hts a capo della rivolta. Una rivolta che ha coalizzato, come si diceva, 37 formazioni e milizie. Sperando che al Jawlani non cambi idea sul prossimo stato siriano o rinneghi le aperture (vedi Talebani), tra le varie milizie coalizzate non mancano certo gli islamisti “duri e puri” tutti e solo sharia, non mancano anzi sono numerosi i filo-turchi anti-curdi. E non manca il pericolo di vendette personali e di gruppo contro ex potenti del regime.
In Siria ci sono e ci stanno: militari turchi a nord; statunitensi a sud e ad est; e russi nelle basi militari di Latakia e Tartus, ad ovest; a sudovest gli israeliani hanno subito approfittato del caos per invadere e distruggere l’ennesimo nemico. E gli iraniani appena cacciati e i filo-iraniani autoctoni che faranno? Ci sono le milizie curde del Rojava che controllano tutto l’est del Paese: fumo negli occhi del presidente turco Erdogan. E c’è anche l’Isis, che ha forse dato la sveglia alle sue cellule dormienti (si parla di 3 mila combattenti dislocati a cavallo del confine siro-iraqeno).
Problemi, sfide e rischi enormi.
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