Siria: l’Unione europea cerca un suo ruolo

L’Unione europea non ha finora rivestito un ruolo significativo nel conflitto in Siria, preoccupandosi solo di gestire il flusso di profughi verso l’Europa ed iniziando a concepire una fase di ricostruzione postbellica. È utile sapere la posizione dell'Ue, al di là delle analisi politiche che possano essere fatte.

Il 5 aprile 2017, mentre a Bruxelles si svolgeva la conferenza  “Sostenere il futuro della Siria e della regione”, presieduta congiuntamente dall’Unione europea (Ue), la Germania, il Kuwait, la Norvegia, il Qatar, il Regno Unito e le Nazioni Unite (Onu), in Siria stava per essere lanciato un bombardamento aereo con armi chimiche sulla città di Khan Sheikhun, nella provincia di Idlib, controllata da forze ribelli al regime di Bashar al-Assad. Solo l’ultimo atto di un conflitto che ha infiammato il Medio Oriente, causando la più grande catastrofe umanitaria nella storia recente: milioni di rifugiati, centinaia di migliaia di vittime.

Ma qual è la posizione dell’Unione europea? Vediamola. L’Ue ritiene di avere adottato «un ampio approccio» nella risposta alla crisi siriana, «concentrando gli sforzi sui settori in cui apporta un valore aggiunto rispetto alle attività dei suoi Stati membri»; eppure Jean-Claude Juncker, presidente delle Commissione europea, in occasione del suo discorso sullo stato dell’Unione, nel settembre 2016, ha invitato a rafforzare il ruolo dell’Ue in Siria. Nel 2011, subito dopo l’inizio della guerra civile, il Consiglio dell’Ue aveva varato una serie di misure restrittive nei confronti di quegli individui ritenuti responsabili della repressione della popolazione civile (e degli individui ed entità a essi collegati). Poi, tali sanzioni sono state rinnovate diverse volte, l’ultima nel maggio 2016, con validità fino a giugno 2017. Nel corso degli ultimi anni si sono susseguite le riunioni dei ministri e dei capi di Stato e di Governo, come il Consiglio europeo del 20 e 21 ottobre 2016 che ha condannato gli attacchi allora attribuiti al regime di Bashar al-Assad e dai suoi alleati contro le popolazioni civili della città di Aleppo, chiedendo «l’accesso umanitario urgente e senza restrizioni ad Aleppo e ad altre regioni del Paese e l’immediata cessazione delle ostilità e la ripresa di un processo politico sotto l’egida delle Nazioni Unite». Aleppo, poi, è stata riconquistata dalle forze siriane, circoscrivendo lo Stato islamico in Siria solo al corridoio centrale attorno al fiume Eufrate e all’area nei dintorni di Deir az-Zor.

La stessa strategia dell’Ue relativa alla Siria è stata più volte aggiornata con il mutare della situazione geopolitica e sul campo di battaglia. Il 3 aprile 2017 il Consiglio dell’Ue ha adottato una nuova strategia, individuando degli obiettivi strategici in sei settori fondamentali: «Porre fine alla guerra attraverso un’autentica transizione politica, promuovere una transizione efficace e inclusiva in Siria, salvare vite umane affrontando le esigenze umanitarie della fascia più vulnerabile della popolazione siriana, promuovere la democrazia, i diritti umani e la libertà di espressione, promuovere l’attribuzione delle responsabilità per i crimini di guerra, sostenere la resilienza della popolazione siriana e della società siriana». In sostanza, l’Ue, convinta che un soluzione duratura e sostenibile al conflitto potesse essere solo politica, ha sempre auspicato la definizione di un quadro postbellico in linea con la risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che prevede appunto «un processo politico guidato dai Siriani» che «istituisca un governo attendibile, inclusivo, non settario e che stabilisca un programma e un procedimento per redigere una nuova costituzione», conducendo il Paese ad elezioni libere e giuste. Parole che possono sembrare equilibrate, ma che lasciano zone d’ombra inquietanti, perché l’Ue ha delle pesanti responsabilità anche militari nella regione, con precise scelte di campo che non hanno favorito nei fatti la soluzione dei problemi.

Se l’Ue tuttavia non è riuscita a rivestire un tangibile ruolo politico e diplomatico nella crisi siriana. Ha provato così ad impegnarsi in campo umanitario a tutela della popolazione civile. Infatti, l’Ue è tra i più importanti donatori nell’ambito della risposta internazionale alla crisi siriana, con oltre 9,4 miliardi di euro erogati collettivamente dagli Stati membri, dal 2011, in Siria e nei paesi limitrofi che ospitano i rifugiati siriani (Giordania, Libano e Turchia), sotto forma di assistenza umanitaria, assistenza allo sviluppo, assistenza economica ed assistenza alla stabilizzazione. Non tutte le somme erogate, tuttavia, hanno avuto scopi esclusivamente solidaristici, avendo chiare implicazioni politiche.

Il 4 ed il 5 aprile 2017, 70 Paesi, organizzazioni internazionali ed enti della società civile hanno partecipato alla conferenza “Sostenere il futuro della Siria e della regione”, che si prefiggeva di «riconfermare gli impegni attuali e individuare ulteriori forme di sostegno da fornire ai siriani all’interno della Siria e nei Paesi vicini, nonché alle rispettive comunità di accoglienza; sostenere una risoluzione politica duratura al conflitto siriano tramite un processo di transizione politica inclusivo e a guida siriana sotto l’egida dell’Onu, esaminare le prospettive di assistenza all’indomani dell’accordo una volta che sia saldamente avviata una transizione politica veramente inclusiva». I partecipanti alla conferenza hanno convenuto che, al fine di soddisfare le enormi esigenze delle popolazioni in Siria e nei Paesi limitrofi, e rafforzare la resilienza delle comunità di accoglienza, sia necessario un significativo sostegno finanziario, impegnandosi a destinare circa 5,6 miliardi di euro per il 2017. Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione europea, ha inoltre dichiarato che «il lavoro politico nel sostenere una risoluzione della crisi è la chiave per garantire un futuro democratico e libero per la Siria e per la sua gente. Solo i siriani possono arrivare all’accordo che garantirà la pace. Ma l’impegno di oggi da parte della comunità internazionale e [dei Paesi] della regione a loro sostegno nella realizzazione di un futuro di pace è essenziale. Oggi siamo stati chiari che la pace sostenibile e inclusiva in Siria per i siriani rimane l’obiettivo di tutto il nostro lavoro comune».

Del resto, poiché l’Ue non è coinvolta direttamente nelle operazioni militari, essa potrebbe rivestire un ruolo significativo nella pacificazione e ricostruzione della Siria. Per questo, il 17 ottobre 2016, in occasione Consiglio affari esteri, Mogherini ha presentato ai ministri degli Esteri dell’Ue una “iniziativa regionale dell’Ue sul futuro della Siria”, che prevede il coinvolgimento dei principali attori regionali implicati nel conflitto per trovare un accordo sulla fase postbellica, secondo tre orientamenti: ricostruzione, riconciliazione e governance. Le modalità per l’attuazione di tali indirizzi dipenderanno però dall’assetto che assumerà la Siria stessa e dai donatori che saranno disposti ad investirvi.

Però, finché non si definisce un accordo politico che configuri chiaramente uno scenario postbellico, nel breve periodo è difficile pensare che la Siria possa attrarre investimenti stranieri per la ricostruzione e convincere i rifugiati che hanno riparato all’estero a rientrare nel loro Paese. Come affermato da Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, «tutti stanno perdendo in Siria. La soluzione deve essere politica».

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