Siria, l’appello dei curdi: La Turchia ci massacra
Dopo la tregua imposta il 15 ottobre scorso da Russia e Turchia ai dissidenti asserragliati nella provincia di Idlib e il summit sulla Siria del 27 ottobre a Istanbul, dove Erdogan e Putin si sono incontrati con il presidente francese Macron e la cancelliera Merkel, sembrava che l’impossibile pace in Siria volesse provare a sollevare timidamente la testa. L’illusione è durata qualche giorno.
Le notizie dell’ultima ora sono sconfortanti: i turchi hanno bombardato per giorni Kobane e Manbij e il 1° novembre sono entrati nel territorio del Rojava (il Kurdistan siriano), ufficialmente per costituire improbabili pattuglie congiunte con i militari Usa, che sostengono i curdi. Questo affinché i siriani (curdi del Rojava e filo-turchi sarebbero comunque siriani) rispettino l’armistizio. Quale miglior modo di far rispettare un armistizio se non prendere a cannonate i civili curdi?
Lo stesso giorno, il 1° novembre (e secondo i curdi non è una coincidenza) i miliziani del Daesh, circondati nella ridotta a Sud di Deir Ezzor hanno tentato una sortita per spezzare l’assedio delle Sdf, le Forze democratiche siriane che riuniscono alle Ypg curde anche milizie sciite, cristiane e sunnite che combattono nell’Est della Siria contro ciò che resta del Daesh.
Il giorno dopo (2 novembre), probabilmente per dare un avvertimento ai turchi, si è attivata anche l’artiglieria governativa siriana che ha sparato sulla provincia di Idlib occupata dai gruppi jihadisti e dalle milizie filo-turche, infrangendo la fragile tregua. Naturalmente con morti, feriti e distruzioni.
È un quadro abbastanza complesso e difficile da decifrare guardando le cose da lontano, soprattutto per l’assordante silenzio su questi fatti da parte dei media occidentali.
Un’arbitraria interpretazione potrebbe essere che i militari Usa stiano concedendo a Erdogan quanto pretende da tempo: il controllo del territorio siriano di Manbij, ad Ovest dell’Eufrate, finora in mano ai curdi del Rojava. I curdi, si sa, sono l’ossessione di Erdogan: ha detto più volte che sono “tutti” terroristi. Tutti, per il presidente turco, significa proprio tutti: che siano turchi, siriani o iracheni, donne o uomini, ottantenni o lattanti, bambine o disabili non c’è differenza, curdi sono e quindi terroristi, il nemico. Secondo Erdogan solo per motivi di difesa la Turchia sta occupando un pezzetto di Siria dopo l’altro: Jerablus, Al-Bab, Idlib, Afrin e adesso Manbij. E poi? Poi vorrà naturalmente tutto il resto del Rojava, e dopo si vedrà. Non lo nasconde neppure.
E gli statunitensi lo lasciano fare, come pure i russi, gli europei, perfino gli iraniani. Sono tutti girati dall’altra parte. Solo Assad ha sparato qualche cannonata per dire che non è d’accordo, ma non può fare altro senza il sostegno russo. I curdi sanno bene quali sono le mire di Erdogan, ma sanno anche che senza la copertura degli Usa (che li hanno già traditi più volte) non sopravvivrebbero neppure un mese.
L’appello sui siti internazionali curdi è chiarissimo: «Non lasciateci soli, la Turchia ci massacra» (cf. uikionlus.com, il sito dell’Ufficio Informazione Kurdistan in Italia). E in Occidente tutto tace se non per accusare Assad o per perorare un patetico processo di pace fra potenti, che detto in altri termini si chiama spartizione della Siria.
Che Assad non sia un agnellino lo sanno bene anche i siriani. Ma sono stufi di una guerra che ha già ucciso mezzo milione di persone e distrutto un intero Paese, che non era poi così male nonostante Assad. E temono molto il rischio della pseudo “democratizzazione”: è qualcosa che ricorda troppo da vicino l’esito afghano, iracheno e libico che sono sotto gli occhi di tutti. Una medicina molto peggiore della malattia che avrebbe dovuto curare.
E in Occidente tutto tace, è la logica di Caino: «A me che importa?», che ricorda poi molto da vicino il ben più prosaico «Me ne frego» di recente memoria. Papa Francesco a Redipuglia (13 settembre 2014) affermava che la risposta umana all’«A me che importa?» è il pianto: oggi «l’umanità ha bisogno di piangere», diceva il papa in quell’occasione.
E aggiungeva: «Anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante! E questi pianificatori del terrore, questi organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi, hanno scritto nel cuore: “A me che importa?». Concludeva il papa: «È proprio dei saggi riconoscere gli errori, provarne dolore, pentirsi, chiedere perdono e piangere. Con quel “A me che importa?” che hanno nel cuore gli affaristi della guerra, forse guadagnano tanto, ma il loro cuore corrotto ha perso la capacità di piangere. Caino non ha pianto. Non ha potuto piangere».