Sinodo, la battaglia per il guaranà

Sposati da 23 anni combattono contro il disboscamento della loro terra e la concorrenza sleale da parte di una multinazionale.

Sono una coppia di attivisti in Amazzonia. Lei è Ednamar De Oliviera Viana. Una striscia di colore arancione larga un paio di centimetri si estende sul viso da orecchio e orecchio, passa da guancia a guancia transitando sul naso che fa da ponte di collegamento. Un copricapo ricoperto di piume colorate si adagia su una maglietta fucsia. Lui è José Cristo De Oliveira, sguardo serio, assorto e una maglietta verde. Sono sposati da 23 anni e hanno 3 figli. Sono indigeni del popolo Sateré Mawué, basso Rio delle Amazzoni, della città di Maués, nello Stato Amazonas del Brasile. Sono leader indigeni di un’associazione chiamata AAFAU (Associazione di agricoltori familiari dell’Alto Urupadi). Combattono contro il disboscamento della loro terra e la concorrenza sleale da parte di una multinazionale che produce guaraná geneticamente modificato. Non lottano solo per il loro popolo, circa 15 mila persone, ma per l’intera Amazzonia. Città Nuova li incontra nella Chiesa della Traspontina di Roma sede di molte iniziative parallele al Sinodo in corso dedicato all’Amazzonia.

Che importanza ha avuto per voi un Sinodo dedicato all’Amazzonia?
José Cristo De Oliveira: «Per noi è stato molto importante perché in questo modo il popolo dell’Amazzonia ha avuto la possibilità di far conoscere e denunciare tutti i mali che affliggono la nostra terra e i nostri popoli tutti i giorni».

Per che cosa combattete?
Ednamar De Oliviera Viana: «Noi stiamo lottando non solo per in nostro popolo ma per tutta l’Amazzonia in particolare per rispettare il nostro territorio e la natura. I frutti che produciamo sono lavorati senza aggredire la natura.

Le multinazionali vendono il vostro guaranà spacciandolo per biologico?
José Cristo De Oliveira: «Coltiviamo il guaranà biologico in maniera naturale però ci sono delle multinazionali agroalimentari che sfruttano il nostro nome e rivendono i loro prodotti come se fossero biologici e, invece, sono pieni di additivi chimici. Lo vendono con il nome della nostra comunità indigena ingannando tutti».

Qual è il vostro obiettivo?
Ednamar De Oliviera Viana: «Unire le forze, sia delle persone religiose sia degli anti‒governativi per combattere con un impatto maggiore, per poter tornare alla biodiversità, al nostro modo di vivere naturale, per difendere la nostra casa comune».

Che messaggio volete mandare?
José Cristo De Oliveira: «Il messaggio per il mondo intero è difendere la foresta Amazzonica perché gli indigeni possano continuare a vivere in armonia con il loro ambiente e coltivare i frutti della terra in maniera naturale perché sono il sostentamento di popoli che altrimenti morirebbero».

Quanto il guaranà è importante per la vostra economia?
Ednamar De Oliviera Viana: «Per noi è un frutto sacro e il più importante delle nostre moltissime piantagioni. Con il guadagno che proviene dalla coltivazione del guaranà si sostiene tutta l’economia del popolo: dall’educazione fino alla sanità.

Avvertite la vicinanza della Chiesa?
Ednamar De Oliviera Viana: «La Chiesa è molto vicina alla gente perché non abbiamo nessun tipo di aiuto dal governo federale e dal comune della nostra città. Quando abbiamo bisogno solo dalle persone della Chiesa troviamo un aiuto. Papa Francesco ha chiesto a tutta la Chiesa di accompagnare i popoli indigeni per questa lotta. Ha avuto la sensibilità di capire che era una lotta importante».

José Cristo De Oliveira: «Sono stato da papa Francesco e con lui ho piantato una pianta di guaranà. Gli ho chiesto di aiutarci nella nostra battaglia e lui si è impegnato».

Si ringrazia per la gentile collaborazione e traduzione Francesca Colantoni

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