Una sinistra sommersa e disunita
Per completare la panoramica sul quadro politico nazionale portata avanti nei numeri precedenti, resta da guardare all’area a sinistra del Pd, che appare subito particolarmente affollata e non facile da descrivere. Per trovare un bandolo, partiamo dalla presenza in Parlamento, dove si individuano due gruppi di sinistra: uno denominato “Articolo 1 – Movimento democratico e progressista” e l’altro “Sinistra italiana – Sinistra ecologia libertà – Possibile”. Essi sono il risultato dei cambiamenti avvenuti nel corso della legislatura: all’inizio, infatti, a sinistra del Pd sedevano solo i parlamentari eletti nelle liste di Sel; poi, si sa, la legislatura è lunga e accadono tante cose… In particolare, durante questa legislatura è accaduto che proprio il Pd abbia perso dei pezzi importanti, dai quali sono gemmati nuovi organismi (non sempre la parola “partito” è gradita), tutti alla sua sinistra. Per stare ai nomi più noti, cominciò Pippo Civati che, dopo essere stato candidato alla segreteria del Pd, ritenne che il programma perseguito dal governo a guida renziana fosse troppo distante da quello originario e abbandonò, dando vita alla formazione denominata “Possibile” (ispirazione spagnola, da “Podemos”). Poco tempo dopo – siamo tra maggio-giugno del 2015 –, toccò a Stefano Fassina: dissenziente anche lui con la politica di governo benché ne facesse parte come vice-ministro dell’Economia, ebbe uno scontro epico con Renzi e abbandonò a sua volta il Pd, portandosi dietro, come Civati, qualche altro collega. Ecco quindi l’originario gruppo Sel evolvere nell’attuale, dove campeggia il nome “Sinistra italiana”. Cos’è? È il risultato della fusione tra Sel, “Futuro a sinistra” (la componente nata da Fassina) ed ex M5S, costituitosi in partito lo scorso febbraio e guidata da Nicola Fratoianni.
Per quanto riguarda il gruppo “Articolo 1-Mdp”, invece, è presto detto: esso nasce dalla scissione di Bersani & C. Questa la situazione in Parlamento, ridotta all’osso. Ma la sinistra non finisce qui: fuori dalla rappresentanza nazionale, vi sono altre formazioni, come “L’altra Europa con Tsipras” o personaggi come De Magistris e Pisapia, e le new entry Anna Falcone e Tommaso Montanari, due protagonisti della campagna referendaria contro la riforma costituzionale, e anche tanto altro (pure un Partito Comunista d’Italia), inclusa l’incidenza dei social che hanno coagulato il “popolo viola” e quello “arancione”.
Una federazione di partiti?
Ora che la legislatura volge al termine, si pone per queste realtà la domanda capitale: cosa offrire agli elettori? L’esigenza primaria è quella di semplificazione: riunirsi sotto un simbolo sarebbe anche la condizione necessaria per affrontare ogni soglia di sbarramento; eppure l’impresa sembra impossibile. Quando si temeva lo sbarramento al 5%, che implacabili sondaggi ritengono non alla portata di nessuna formazione, Pisapia ha rotto gli indugi e ha formalizzato, diciamo così, il suo tentativo di “federatore”. E subito ci si è accorti che l’impresa è titanica e probabilmente non alla sua portata. Come mai? Pisapia è una delle persone più degne, il suo curriculum di sinistra è a tutti noto, è preparato, onesto e distaccato dal proprio destino; eppure… non va giù a tutti a causa del suo atteggiamento simpatizzante nei confronti del governo Renzi e del suo Sì al referendum. Tant’è che si sono decisi a scendere formalmente in campo anche i protagonisti dei “Comitati per il No”, con una iniziativa che guarda a «una Sinistra unita, in un progetto condiviso e in una sola lista», come si legge nell’appello di Anna Falcone e Tommaso Montanari, portavoce di Libertà e Giustizia.
Occorre la leadership
Ma trovare un punto di fusione è davvero difficile, anche se ciascuno di loro, individuo od organismo, proclama il valore tipico della sinistra: combattere le diseguaglianze. Evidentemente però non basta, perché occorrono anche i metodi “di sinistra”: e qui già ci si pluralizza e scattano veti incrociati e pregiudiziali irrinunciabili. E chissà se il consenso di Corbyn in Gran Bretagna non faccia il miracolo. Tanto più che il consenso elettorale di quest’area è stimato da un sondaggio IPR Marketing fino al 16%, con una variabile decisiva: la leadership. Il massimo si raggiungerebbe con la guida di Roberto Saviano, segue Stefano Rodotà, col quale il consenso scenderebbe al 13%, Pierluigi Bersani al 10 e via a seguire gli altri. Tra i quali compare un nome che per il momento è sottotraccia a causa del ruolo che riveste, ma che si sta apparecchiando per il futuro: Laura Boldrini. Il discorso è dunque apertissimo e imprevedibile.