Singapore. Morto Lee Kuan Yew, il dittatore che odiava la corruzione

Ha governato per più di tre decenni la "Città-Stato" asiatica, garantendo benessere e prosperità, ma anche limitando la libertà delle persone e della stampa. Un'analisi
Morto il leader del Singapore Lee Kuan Yew

Lo avevano definito come il politico più scaltro della regione e, con tutta probabilità, era vero. Lee Kuan Yew, il padre ed il padrone di Singapore per più di tre decenni, è scomparso l'altra notte all’età di 91 anni, lasciando il piccolo, ma potente, Stato asiatico nello sgomento. Lo piangono un po’ tutti, soprattutto coloro che avevano vissuto gli anni drammatici che avrebbero portato al distacco della piccola isola dalla Malaysia e, nei decenni successivi, alla crescita economica di quel piccolo lembo di terra asiatico, oggi diventato emblema di efficienza e modernità. 

È difficile spiegare che cosa sia Singapore a chi non c’è mai stato. Si ha l’impressione di trovarsi in un mondo dove tutto è stato pensato per coloro che vi abitano e dove il futuro ha un senso, fino a pensare che questa isoletta potrebbe, entro il 2061, non dipendere più in alcun modo da nessun Paese per le sue riserve idriche.

Dopo aver completato gli studi a Cambridge, Lee Kuan Yew era tornato a Singapore come consigliere sindacale. Nel 1954 aveva dato vita, insieme ad altri, al People's Action Party (PAP) di cui divenne il segretario generale, che avrebbe governato questa città-stato a partire dal 1959 e che ancor oggi determina il destino dei suoi cittadini. Lee Kuan Yew per oltre 30 anni ha ricoperto la carica di Primo ministro, ma soprattutto ha determinato la svolta decisiva del Paese con l'indipendenza dalla Malaysia nel 1965, dando vita ad una società multi-razziale e meritocratica, che ha bandito la corruzione dal suo sistema ad ogni livello. Questo ha permesso a Singapore di diventare un modello nel settore economico e finanziario, oltre che a difendere l’eco-sistema e la vita urbana della metropoli asiatica.

Senza dubbio governata con sistemi pressoché dittatoriali, Singapore è diventata anche un’"oasi di stabilità" in una regione caratterizzata, invece, da corruzione, scandali, violenze politiche e povertà. Sebbene abbia usato il pugno di ferro per assicurare i passi necessari per la crescita delle città-stato, il leader scomparso si è identificato con il Paese a cui aveva dato vita e che ha cresciuto con una sorta di paternità politica che tutti, specialmente le generazioni più anziane, gli riconoscono ancora oggi. Il figlio Lee Hsien Loong, attuale primo ministro, ha annunciato la morte del padre in tre delle lingua ufficiali del Paese – inglese, malay e mandarino, mentre la quarta è il tamil – affermando che "non vedremo più un uomo come lui. Per molti abitanti di Singapore come pure per molti altri Lee Kuan Yew era Singapore".

Quello che oggi colpisce un visitatore attento della città asiatica non è solo l’apparenza fatta di efficienza, pulizia, dedizione al lavoro e concorrenza aperta a tutti i livelli. È, soprattutto, la capacità con cui il fondatore della patria ed i suoi collaboratori sono riusciti a tessere una società integrata dove diversi gruppi etnici (cinesi, malesi, indiani tamil oltre euroasiatici e molti cittadini stranieri), culturali e religiosi (confuciani, taoisti, buddhisti, indù, cristiani e musulmani) riescono a convivere senza tensioni. Per ottenere quello che Singapore è oggi il leader defunto non ha risparmiato anche misure severe, operando scelte politiche non sempre popolari e, anche, controverse. Prime fra queste la pianificazione familiare, che è passata dalla legalizzazione dell'aborto e dal favorire la sterilizzazione per contenere il rapido sviluppo demografico negli anni 50 e 60. Il figlio, attualmente al governo, ha poi sconfessato alcune scelte paterne invitando i giovani a sposarsi e ad avere figli.

All’imposizione di un controllo severo e stretto da parte dello stato sulla vita dei cittadini il padre della patria ha tuttavia saputo offrire beni, servizi, una economia stabile ed un tenore di vita sempre più elevato che non ha praticamente conosciuto flessioni nel corso dei decenni. La sua leadership è stata, senza dubbio di stampo confuciano, ma ha saputo pragmaticamente coniugare anche aspetti di carattere occidentale con un modello economico capitalistico di successo che ha portato questa città stato ad avere, per  il 2014, un Prodotto interno lordo (Pil) di 297,94 miliardi di dollari, con una crescita del 2,40 per cento.

Non mancano, tuttavia, anche a Singapore discriminazioni sociali, sebbene senza dubbio marginali rispetto a quelle rintracciabili in alcuni Paesi circostanti. Oggi Singapore rappresenta la quintessenza dei luoghi per realizzare affari ed investimenti, anche se non mancano punti dolenti, come una libertà personale vincolata. Lo stato continua a esercitare una forte pressione e censura sulla stampa e la comunicazione in generale. Il vice-direttore Asia di Human Rights Watch (Hrw) Phil Robertson pur definendo "formidabile" il lavoro di Lee per l'economia di Singapore, ha ricordato "il costo significativo" pagato in termini di vite umane, censura e libertà. 

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