Sinfonia per madre e figlia
È doloroso riconoscere i propri errori. Al di là di ogni cosa esiste la pietà e la comprensione. Forse è ancora possibile curare le nostre ferite, vivere ciò che resta e volerci bene. Io non farò più niente che possa cancellarti dalla mia vita. Sono le parole finali di una lettera rivolta da una figlia, Eva, a sua madre Charlotte, dopo essersi ritrovate a distanza di sette anni e presto di nuovo lasciate per, forse, mai più rivedersi. Il rapporto conflittuale tra le due donne è il nucleo centrale del dramma Sinfonia d’autunno di Ingmar Bergman, pièce resa celebre dal film interpretato da Liv Ullmann e Ingrid Bergman, ora messa in scena da Maurizio Panici. Pianista di successo, donna egocentrica e insensibile, incapace di ascoltare se non sé stessa, Charlotte ha dedicato la sua vita all’arte, trascurando da sempre gli affetti e le responsabilità famigliari. Eva, introversa e affettiva, si è sposata ad un pastore luterano dal quale ha avuto un figlio scomparso prematuramente e si è presa cura della sorella ritardata. Privata dell’amore materno, è cresciuta nutrendo nei confronti della madre ammirazione e timore, affetto e rabbia. Il ritrovarsi di questi due mondi inconciliabili si rivelerà un forte e doloroso confronto verbale che farà riemergere odi e rancori repressi, amore e accuse, paure e rimorsi. Il corpo a corpo di questo match d’anime in pena e in cerca di perdono sembra trovare l’unica armonia possibile nella musica che a tratti cavano dal pianoforte. Ma è solo un attimo di tregua. I continui tentativi di amore dichiarato, voluto, cercato e subito negato, culmineranno in una scena rivelatrice, ad alta tensione emotiva, nel cuore di una notte insonne. A tenerci incollati alle dense parole di questo testo del grande maestro svedese, indagatore come pochi dell’universo femminile, sono due attrici di segno diverso ma perfette nell’antagonismo dei ruoli: Rossella Falk e Maddalena Crippa. La Charlotte della Falk sprigiona tutta la fatuità del personaggio, facendo emergere, con toni sottesi, da quella disinvoltura ed enfasi il vuoto che ha dentro e che lei stessa ha paura di far affiorare; la Crippa assume anche fisicamente i lineamenti austeri e ascetici di una donna nordica, ibseniana, emotivamente fragile al limite della patologia, che accompagna con una recitazione trepidante, trattenuta, ricca di sfumature in quel che non dice. E dice poco il terzo personaggio, Viktor, il marito di Eva – un sobrio Marco Balbi – testimone silenzioso, snodo e voce narrante della storia. Incorniciato dentro una spoglia scena di un bianco abbagliante, con solo un divano, un pianoforte e un tavolo che entrano ed escono di volta in volta, è lo spazio della mente, luogo di chiarezza dove prendono corpo, in controluce, le ferite dell’anima. Per una storia d’amore dove si invertono i ruoli di madre e di figlia.