Sindaci e boss della ‘ndrangheta in affari
Usura, estorsioni, appalti mischiati con la politica. Qui operava un «vero e proprio antistato… in grado di corrompere la coscienza dei cittadini». Sono queste le parole, contenute in un’ordinanza di 500 pagine, con la quale il gip di Genova Massimo Cusatti ha accolto le richieste della direzione distrettuale antimafia di Genova, facendo arrestare quindici persone, a dieci delle quali è stata contestata l’associazione per delinquere di stampo mafioso.
Si parla di ‘ndrangheta indipendente e autonoma dalla Calabria per Ventimiglia (non per Bordighera), e di “cosca servente”, rispetto alla Calabria, per la diramazione genovese, quella che aveva visto finire in carcere, due anni fa, i presunti boss Mimmo Gangemi e Domenico Belcastro. Un’inchiesta che fornisce una più dettagliata fotografia del degrado malavitoso che ha messo le radici e opera sulla costa.
L’indagine fornisce un lungo elenco di reati contestati a vario titolo agli arrestati, il procuratore capo di Genova Michele Di Lecce, il pm della direzione nazionale antimafia Anna Canepa e il comandante provinciale dei carabinieri di Imperia Alberto Miniati hanno illustrato i punti principali dell’inchiesta. In pratica tutto è riconducibile al controllo del territorio e alla capacità di intimidazione. Lo descrivono vari episodi che rappresentano, ognuno, singoli capi d’imputazione.
C’è l’usura nei confronti del titolare di un’impresa di Rozzano, quella verso il proprietario di un night, le intimidazioni ad un'albergatrice affinché non registri alcuni pregiudicati in fuga dalla Calabria. Ma si parla anche di amicizie con le forze dell’ordine, con i direttori di banca, con il sindacalista che si occupa di rifiuti, e naturalmente con politici e amministratori. Le ipotesi di reato sono, a diverso titolo, associazione per delinquere di tipo mafioso, usura, estorsione, traffico di droga e armi.
L’inchiesta è frutto di 2 anni di lavoro sulle basi di altre inchieste simili portate a termine dalle procure di Milano e di Torino e sulle decisioni del Viminale che ha sciolto, a un anno di distanza l’una dall’altra, le amministrazioni comunali di Ventimiglia e Bordighera. La cosca ventimigliese, che si era affermata nella città di confine tanto che la gente diceva che «era meglio non farli arrabbiare», aveva come compito quello di costruirsi «amministrazioni amiche». E così la politica si rivolgeva a loro, dicono gli inquirenti, in periodo di campagna elettorale tanto che, oltre a organizzare cene e incontri, provvedevano anche alla formazione delle liste inserendo i propri uomini. Il reato di voto di scambio, dicono gli inquirenti, «non esiste di fatto. In questo caso è stata operata una costante ingerenza nel mondo della politica che ha portato gli indagati a “costruire” amministrazioni “amiche”».
(Foto di Flavio Ferrari)