Simona Atzori: sono una fabbricatrice di sogni

Incontro con questa brava artista, apprezzata dal grande pubblico al quale sa trasmettere l'amore per la vita.
Foto G. Rigon

Simona Atzori è pittrice, ballerina, scrittrice. Si racconta attraverso l’arte, che trasmette il suo entusiasmo e il grande amore per la vita.

Lei è un’artista poliedrica. Come ha scoperto i suoi talenti?
Mi piace pensare che questi doni – la danza, la pittura – sono nati insieme a me, mi hanno accompagnato. Si sono mostrati come strumenti che da bambina mi aiutavano a comunicare il mio mondo e da lì ho iniziato a comprendere che erano strumenti incredibili di scoperta di me ma anche di scoperta di interazione con gli altri. Poi li ho coltivati, ho studiato, ho avuto la fortuna di avere una famiglia che mi ha aiutato, mi ha incentivato, per poi capire che sarebbero diventati la mia vita, non solo una passione, non solo dei doni ma parte fondamentale del mio lavoro e di quella che sono. Poi è arrivata anche la scrittura che ha aggiunto un altro aspetto alla mia parte comunicativa.

Quale di queste espressioni artistiche la rappresenta di più?
Ognuna mi aiuta a raccontare una parte di me ed è il motivo per cui finché posso le porto avanti insieme perché una non esclude l’altra, anzi si rafforzano a vicenda. Nella danza uso il corpo ed è un linguaggio di comunicazione non verbale molto libero perché non racconto con le parole quello che provo, uso un corpo che agli occhi degli altri manca di qualcosa, ma in realtà quando danzo le persone mi dicono che non manca niente. Non sono i pezzettini del nostro corpo a dire di più o di meno di noi, è l’intensità con cui lo diciamo. La pittura è uno strumento non verbale che forse lascia una traccia in più e poi la scrittura che è qualcosa di ancora più mirato. L’ho usata per rendere più esplicito ciò che le altre due arti raccontano e racconto quello che mi spinge come essere umano, come donna a danzare, a dipingere.

Lei è anche life coach. Come nasce questa esperienza?
È nata in maniera spontanea e inaspettata. Non mi piace usare la parola life coach, mi piace pensare di essere una persona che racconta la sua storia che per gli altri è uno strumento di motivazione. Parto dalla mia esperienza di vita, da quello che conosco, che ho vissuto, quindi anche un’analisi di ciò che mi ha portato a prendere delle decisioni. Mi piace pensare che raccontando la mia storia posso dare degli strumenti alle persone per dire “anche io posso provarci”. Dico sempre che non ho ricette da dare però, se la mia esperienza può servire a qualcuno, è una cosa meravigliosa. È un aspetto molto forte in questo momento della mia vita e non avrei mai immaginato perché fino a un po’ di anni fa non volevo parlare in pubblico. Amo incontrare le persone, guardare i loro volti che si trasformano insieme a me, perché non sono io che do agli altri, è una cosa molto reciproca.

C’è uno dei suoi quadri a cui è particolarmente legata?
Non mi affeziono tantissimo ai miei quadri perché li reputo non veramente miei: una volta che li ho creati diventano a se’, hanno un loro percorso. Però sono rimasta molto attacca ai ritratti che ho fatto ai papi, Giovanni Paolo II e papa Francesco, perché hanno una storia del mio vissuto e dell’onore di averli donati a loro. Mi piace la storia nascosta dietro al quadro, non rimango attaccata all’immagine quanto a ciò che mi ha portato a crearlo.

Come è stato l’incontro con i papi?
È stato diverso perché in momenti diversi della mia vita: con Giovanni Paolo II avevo 17 anni, era uno dei miei primi ritratti, ricordo la tensione, lo sforzo. Poi l’incontro è stato speciale, è stato l’incontro con un uomo. Quando ha posto il suo sguardo su di me, ho percepito l’affetto che un nonno prova per una nipote, è un’attenzione molto bella che lui aveva la capacità di donare a ogni essere umano che incontrava. Mi ha lasciato questo talmente forte che, quando incontro le persone, mi piace provare a dare a ognuno uno sguardo unico, perché l’unicità di ognuno è qualcosa che lui mi ha fatto percepire e che ho trovato talmente speciale e rara che ho provato a ispirarmi a lui.

Papa Francesco è stato un vortice incredibile di emozioni. Pensavo che dovevo stare attenta a tutti i dettagli perché li avrei raccontati, invece quando mi sono trovata davanti a lui non ho capito più niente, quasi non me lo ricordo, le immagini girate mi hanno fatto ricordare i gesti che ha fatto per me. Ho capito che non possiamo prevedere nulla nella vita, ci dobbiamo lasciare guidare dall’energia che gli altri sono in grado di darci.

Qual è il suo rapporto con Dio?
Lo ringrazio ogni giorno a modo mio nel senso che la danza, la pittura, la scrittura, la comunicazione sono dei grandi strumenti per ringraziarlo perché sono dei doni che mi ha dato. Li uso per dire grazie per come mi ha creata perché a me non manca nulla: Simona è questa, Simona con le braccia non sarebbe stata Simona e per questo dono immenso che ho ricevuto gli devo dire grazie.

Ha un sogno nel cassetto?
Ce ne sono una valanga! Mi piace dire che sono una fabbricatrice di sogni perché tante cose sono partite da un sogno, altre sono partite da sogni che non immaginavo neanche di avere, quindi sogno ma poi mi lascio sorprendere. Il mio sogno più grande è continuare a fare quello che faccio, ad amare la danza, la pittura, a lasciarmi sorprendere da queste arti, a lasciarmi guidare da loro e a farlo con questo amore, come se ogni giorno mi innamorassi di nuovo e il mio sogno è di non perdere mai questa autenticità, questo amore folle che ho per quello che faccio.

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