Simmetrie familiari

Buongiorno, chiamo dal Centro adozioni. Vorrei parlare con il signor Seroczyn ´ski. In questo momento non è in casa. Sono la madre. Posso riferirgli qualcosa?. Si tratta della proposta di adozione. Adozione?! Non vorranno adottare un bambino? Ne hanno già cinque!. Era un particolare, questo, che la signora del Centro adozioni non conosceva. Le fu necessaria una frazione di secondo per riprendersi dallo shock e simulare il dovuto contegno professionale. Senza fornire troppo delucidazioni salutò cordialmente, convinta dell’opportunità di una visita alla famiglia interessata. Per l’occasione avrebbe potuto conoscere ed interpellare i bambini. Natalia, Amelka, Klementyna, Antek e Kuba, informati dai genitori, intrapresero le dovute preparazioni. Metti in ordine! Non vuoi avere un fratellino?!, gridava Kuba, di otto anni, ad Antek di sei. Natalia, la più grande (anni dodici) all’attesa domanda della ispettrice del Centro adozioni rispose: Ne ho già tirati su quattro, ora voglio un altro piccino per insegnargli a camminare e parlare. La signora cercò di spiegare nel modo più delicato possibile che il bambino non era sano; era nato prematuro a ventisette settimane ed era in ospedale da mezzo anno. Temeva di turbarli. La signora non sapeva che dopo una visita ad un orfanotrofio per non vedenti, Antek aveva chiesto al papà: Perché non ci siamo portati via un bambino?. A novembre Jacek era con loro. Tutti si prendevano cura di lui con appassionato interesse, accompagnando con un applauso ogni suo minimo successo. In pochi mesi Jacek aveva fatto passi da gigante. La signora del Centro adozione, durante una visita di controllo, aveva chiesto, piena di ammirazione, ai bambini: Chi si prende maggiormente cura di Jacek?. Io. Aveva risposto Amelka (anni due) senza esitazioni. Poi aveva pianto a lungo, chiusa nel bagno, al pensiero di non poter più divertirsi come una volta, essendosi pubblicamente impegnata davanti alle istituzioni. A Jacek mancava solo una cosa per diventare a tutti gli effetti membro della sua nuova famiglia: il verdetto del tribunale per i minori. I bambini pregavano tutte le sere perché il tribunale gli affidasse definitivamente il nuovo fratellino. Enumeravano con orgoglio tutto quello che Jacek aveva in più da quando era con loro: capelli, denti, sorriso. Lo ritenevano anche merito loro, ed erano certi che avrebbe avuto un peso decisivo per il verdetto finale. La convocazione al tribunale arrivò, ma solo per i genitori. Non fu facile spiegare ai bambini le modalità di certe procedure legali. Dovette intervenire il giudice in persona, chiedendo ai genitori di porgere loro le sue scuse ed informarli che l’adozione di Jacek chiamava in causa anche i fratellini e le sorelline. Il verdetto fu positivo. Jacek era a casa sua. Sul primo nome non ci furono discussioni. La scelta del secondo provocò quasi una rissa fraterna. Magda, la mamma, dispose per una votazione democratica. Il risultato fu accettato da tutti: Leonard. Per una simmetria esatta mancava solo una cosa: i capelli di Jacek avrebbero dovuto essere rossi; in casa c’erano già tre sorelline e due fratellini, tre biondi e due fulvi. Oggi Jacek ha due anni ed i capelli biondi. La mancata simmetria cromatica è un dettaglio trascurabile. Amelka parla con orgoglio di lui all’asilo, ma solo ai bambini. Le signore mi chiederebbero quale Jacek? Da dove è arrivato? E così via, spiega. Ed Amelka non ha alcuna voglia di spiegare agli adulti tutta la storia, perché non capirebbero mai. La storia, per farla breve, è questa. Sua madre voleva avere venti figli: dieci bambini e dieci bambine, ed un pulmino per portarli in giro. Suo padre voleva averne solo otto. Ogni due anni era nato un bambino. Lei, Amelka, era la quinta. Due anni dopo la sua nascita, l’aspettativa per il sesto era naturale; il sesso ed il colore dei capelli derivavano da semplici regole di simmetria. Più di una volta Magda aveva sorpreso i bambini ad osservarle il ventre (che non accennava minimamente a crescere) con evidente preoccupazione. Ci avete imbrogliati, avevano denunciato un giorno delusi. La mamma aveva spiegato che non ce l’avrebbe fatta a portare un altro figlio nel grembo per nove mesi. I bambini non si erano convinti, gli sembrava che i genitori avrebbero potuto fare ancora qualcosa. Avevano ragione: un’adozione. Una storia di bambini che i bambini capiscono al volo. Gli adulti, invece, fanno fatica a prenderla per vera. Iniziano subito a fare domande e considerazioni del tipo: Chissà quale dei due genitori avrà dovuto sacrificare la professione per dedicarsi ai bambini? Di certo sarà stata la madre, come sempre. Come si fa a gestire gli impegni di sei figli, tra scuola e attività varie? C’è da impazzire. Ed anche se agli adulti rispondi che Przemek, il papà, lavora come informatico e Magda, dopo aver conseguito un dottorato che è durato quattro figli, insegna al politecnico, che in cucina è appeso l’organigramma delle attività (ginnastica artistica, judo, karatè, fioretto, lingue, chitarra, violino, fisarmonica, piano) di ogni bambino e che i nonni sono insostituibili, loro, gli adulti, nemmeno ti credono, ti dicono che racconti favole. Per questo Amelka preferisce parlarne solo con i suoi coetanei. Per aiutare gli adulti a capire, forse, occorrerebbe mostrare loro un quadro appeso in cucina insieme all’organigramma.

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