Silvana e i giornali

L’attualità illuminata da una donna che sapeva pensare e sorridere. E mettere assieme. Il bene comune come risultato di decisioni condivise
Silvana Veronesi

Stamani porto la mia mazzetta di giornali in ufficio per sfogliarli e leggere qualche articolo più interessante, per capire com’è che va il mondo. La strage di San Bernardino inquieta, perché concentra su di sé il peggio degli Usa che non riscono in nessun modo a limitare la diffusione incontrollata delle armi (88 per 100 abitanti!) e di una propaganda del jihad fai-da-te che risulta assolutamente incontrollabile perché non si possono monitorare milioni di persone nel mondo e che fa mettere in dubbio l’efficacia degli insegnamenti di libertà, fraternità e uguaglianza delle nostre democrazie occidentali. C’è poi la tensione tra Russia e Turchia, la Bce che taglia i tassi, il doping diffuso in atletica e ciclismo…

 

Leggo e penso a un’amica che se n’è andata ieri, Silvana Veronesi, non più giovane, 86 anni, che veniva da quel di Trento e che aveva voluto seguire da giovanissima, aveva appena 15 anni, quella gran maestra spirituale che era Chiara Lubich. Sin dall’inizio aveva rappresentato “le nuove generazioni” in quel nascente movimento che aveva il torto di essere comunista (mettevano in comune le loro cose) e protestante (vivevano, udite udite, il Vangelo).

 

Ho avuto a che fare con lei soprattutto nel 1980, quando fu organizzato un grande festival di giovani, il Genfest, allo Stadio Flaminio a Roma, 40 mila giovani uniti da un forte desiderio di fare della società una vera famiglia. Utopici, barbuti, capelluti, danzanti, determinati: un cocktail esplosivo. Mi fu chiesto, assieme a Rosanna Cantelmi, di presentare la giornata, che non fu benedetta dal sole ma battezzata dall’acqua. Poco importa, si continuò a danzare, lanciare proclami rivoluzionari, ascoltare parole controcorrente.

 

I registi di quella giornata furono Carlos Clarià, argentino dalla tempra di leader, Piero Pasolini, scienziato geniale e cuore grande, e appunto Silvana Veronesi, forse meno decisionista ma “anima” di quell’appuntamento. Alla vigilia ci trovammo sul prato sotto gli ombrelli per decidere se mantener fede al programma all’aperto o rinchiuderci in tre tornate all’Aula Nervi. La decisione fu unanime per lo stadio. Silvana non disse nulla per non influenzare noi giovani, ma era chiaro che quella era la decisione da prendere, non si poteva deludere tanta gente. Capii quella volta la forza della maieutica: far nascere nel cuore dell’altro l’idea che di per sé si vorrebbe affermare. Il silenzio che genera la parola. Quando la decisione fu presa, Silvana non esultò perché era stata presa la decisione che lei avrebbe desiderato fosse presa, ma perché era stata presa una decisione assieme, la migliore possibile.

 

Il deficit dell’attuale geopolitica è che non si riescono a prendere decisioni condivise, non c’è più la maieutica diplomatica per il bene comune, ma il bene particolare eletto a regola universale. Silvana Veronesi con il suo esempio ci indica che senza decisioni condivise il bene comune non esiste nemmeno.

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