Il silenzio della solitudine creativa
In questo tempo, qualcosa di invisibile come il Coronavirus ci ha obbligati a fermarci; a convivere un po’ di più con noi stessi. Siamo tentati di tenere sempre la TV accesa con le news, oppure, di stare connessi ai social per stare in una compagnia virtuale; stiamo nel rumore per non stare nel silenzio. Anche quando attorno ci sono tanti familiari, può capitare di sfiorare un senso di solitudine. Ci si sente soli davanti a mille paure, anche a quella di perdere il lavoro.
Sono diverse le solitudini che viviamo, sono silenzi interiori, sono la mancanza di persone care perché intrappolate in altre parti del paese, e per alcuni, sono il vuoto della separazione. In tante famiglie si stanno vivendo dei lutti, alcuni dovuti al Covid-19 e altri di varia natura, ma in entrambi i casi si salutano i propri cari da lontano. La sofferenza della perdita è profonda e c’è l’aggravante di non poter vivere i rituali dell’accompagnamento o di quella vicinanza fisica che ci aiuta a vivere il momento del distacco.
Se in questo momento si sta vivendo un lutto, è importante cercare un modo per salutare la persona che si ama: si può scrivere una lettera, parlare con le persone che gli volevano bene. Se questa sofferenza, il non senso, è troppo forte, è bene chiedere supporto ad un professionista e farsi accompagnare in questo delicato presente.
Aiutiamoci nel condividere le esperienze emotivamente forti, nel dare parola ai dolori che attraversano la nostra storia. Ascoltiamo l’altro, non solo tacendo, ma con l’ascolto interiore libero dai pensieri e totalmente rivolto ad ascoltare la parola altrui.
Ascoltare l’altro e ascoltarsi dentro. Cosa succede quando ci fermiamo e stiamo nella solitudine? Condivido pienamente le parole di Eugenio Borgna, psichiatra e saggista: «Non è facile salvare la solitudine in noi, perché essa ci confronta con il segreto della nostra coscienza, con il manzoniano guazzabuglio delle passioni che sono in noi, con le cose che non vorremmo ricordare e che la memoria trattiene, con gli orizzonti di senso della nostra vita, con l’autenticità, o la inautenticità, delle relazioni che abbiamo con gli altri, con il mistero della morte. Questi sono solo alcuni dei motivi che fanno nascere l’angoscia dinanzi alla solitudine; e allora si desidera fuggire anche dalla solitudine creatrice, e trovare rifugio in esperienze rassicuranti che ci distraggano dal pensare e dall’immaginare, dal riflettere e dal curarsi degli altri».
Se ci concediamo la solitudine di questo rallentamento, possiamo andare a toccare le corde del nostro cuore e della nostra immaginazione, le ragioni di una vita che vale la pena di essere vissuta. La corsa frenetica alla quale siamo abituati, i continui stimoli dell’online, essere continuamente connessi, ci rende molto più complesso l’andare in profondità e ascoltare le nostre emozioni. È un tempo che può dirci cosa è importante per vivere una vita che abbia pieno significato!
La riflessione critica e l’esperienza creatrice sono figlie dell’ascolto interno, vivere fino in fondo l’esperienza della solitudine può essere generatrice di cambiamento, di passione per la speranza. Anche l’esperienza dell’incontro con la finitudine, può essere un’occasione di crescita, essere intimamente consapevoli che tutto può finire apre le porte della gratitudine, ci porta a cogliere le priorità, le cose per cui vale la pena spendersi. Per concludere questa riflessione incompleta, prendo in prestito le parole di un maestro, Edoardo Giusti, psicologo psicoterapeuta e saggista contemporaneo: «Abbiamo rimosso l’idea della morte come se questa negasse l’idea della vita, ma al contrario proprio la constatazione che la nostra esistenza è destinata a concludersi, ci deve spingere a vivere pienamente ogni istante senza sprecare la propria vita…».