Il silenzio assordante del mare

Una riflessione sulla Resistenza francese durante la Seconda Guerra Mondiale, raccontata, attraverso le storie “minuscole” degli individui, dallo scrittore francese Vercors, e messa in scena al Teatro Due di Parma

Ambientato in un paesino della Francia occupata dalle truppe tedesche durante la Seconda guerra mondiale, Il silenzio del mare è un piccolo romanzo di Vercors, pseudonimo di Jean Bruller, parigino di origine ungherese e fondatore di Editions de Minuit, piccola casa editrice nota per la divulgazione delle maggiori opere letterarie francesi della Resistenza. Pubblicato in forma clandestina, rappresenta un testo simbolo di quella Resistenza che faceva del silenzio l’arma dei patrioti e delle storie “minuscole” degli individui, vissute di atti quotidiani e di sofferenze private che si ripercuotono sui grandi avvenimenti, la Storia con la “s” maiuscola (il generale De Gaulle utilizzò Il silenzio del mare come mezzo di propaganda facendolo pubblicare e paracadutare durante la guerra). A farne un’asciutta e folgorante messinscena, carica di tensione, densa d’intelligenti dettagli, di persistenti raccordi emotivi che ci afferrano nella visione, è Raffaele Esposito per il Teatro Due di Parma, che ci restituisce quelle brevi, intense pagine, in un racconto teatrale denso di impercettibili affondi interiori che scuotono la coscienza.

Nella stanza, con al centro una porta sospesa in una lunga parete trasparente che un sapiente gioco di luci illumina e rabbuia definendo un altro interno e delle ombre, risaltano un vecchio divano, uno specchio e una sedia con sopra una teiera su un fornellino. E, soprattutto, cumuli di libri a terra che vengono spostati, collocati, accatastati. Si avverte il peso delle parole, dei versi, delle storie che contengono. Loro custodi, e amanti lettori, sono un uomo anziano e la giovane nipote intenti a maneggiarli con cura, a sistemarli in piccoli mucchi da un punto all’altro. Dei due solitari personaggi non possiamo fare a meno di scrutare i gesti quotidiani, le espressioni mutevoli, gli sguardi d’intesa che si scambiano in quello spazio intimo che ci avvicina a loro. Percepiamo i loro pensieri, gli stati d’animo, osserviamo la solenne litania dei movimenti ripetuti in un alternarsi di veglie notturne. Tutto si svolge in un lungo, pregnante silenzio tra i due.

A romperlo sarà, improvvisamente, l’irruzione di un estraneo: un uomo con una valigia che saluta gentilmente installandosi da quel momento in poi dentro casa. È un ufficiale tedesco. «Bisognerà vincere questo silenzio», esclamerà presto ma senza ricevere risposta. Perché inutilmente cercherà, senza demordere, di instaurare un dialogo con i due francesi, costretti a ospitare il giovane occupante. Nonostante egli tenda invano la mano e si dimostri gentile, educato e rispettoso, il persistente e assordante silenzio che i due oppongono alle sue parole, creando un muro di diffidenza, lo costringerà a un soliloquio che ci svelerà un uomo di cultura, sensibile alla bellezza, compositore appassionato di musica e di letteratura soprattutto francese. Ai suoi interlocutori muti racconterà anche della sua infanzia, della sua casa nella foresta, della predilezione per la favola della Bella e la Bestia identificandosi nella seconda per la sofferenza che provava.

Racconti e pensieri ad alta voce che sveleranno un uomo non allineato alla logica dell’invasore nazista, un profondo idealista che considera l’occupazione della Francia ragione di scambio culturale e di crescita tra i due Paesi, la nascita di una nuova alleanza pacifica tra occupante e occupato. E crede che questo ideale sia anche quello dei suoi superiori. Ma dopo una convocazione a Parigi, e lì constatato che ben altri sono i piani d’invasione contro la Francia, al ritorno, in cui per la prima volta lo vedremo in divisa e con la svastica al braccio, il suo atteggiamento muta. Si fa anch’egli silenzioso. Romperà quel mutismo dopo alcuni giorni, chiedendo al vecchio e alla donna di dimenticare quello che ha detto nei mesi precedenti. Profondamente rattristato e disilluso, comunicherà la sua immediata partenza per il fronte.

Nei panni appropriati del militare tedesco è Raffaele Esposito che parla tenendo alta la crescente tensione, complice quel silenzio che sa far parlare più delle parole affidato a un attore schivo e di assoluta presenza scenica quale è Thierry Toscan (il rude ma ostinato pastore ex-professore del film Il vento fa il suo giro di Giorgio Dritti), che ha l’espressività necessaria al ruolo muto dell’anziano; e a una giovane Roxana Doran, che ben rende l’introversa e malinconica nipote, nel cui cuore forse era nato qualcosa simile all’amore nei confronti di quel nemico gentile che in un momento l’aveva sfiorata con un leggero bacio. Alla partenza del giovane l’unica parola che lei pronuncerà cadendo affranta, come svigorita, dietro la porta, sarà Addio!  «L’indomani – si legge, in conclusione, nel romanzo ‒, quando scesi a prendere la mia tazza di latte mattutina, era partito. Mia nipote aveva preparato la colazione, come ogni giorno. Mi servì in silenzio. Bevemmo in silenzio. Fuori un pallido sole splendeva attraverso la nebbia».

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