«Sii un eroe. Compra un libro». E ricostruisci il Paese

“Pugni alzati per il Messico” è molto più di un libro collettivo su un terremoto. È un documento che parla di dolore, orgoglio, solidarietà e speranza

Mexico Earthquake

«Silenzio! C’è qualcuno qui sotto». Il pugno alzato dei soccorritori, dopo lo spietato terremoto che a fine settembre ha devastato 7 Stati messicani, significava questo. Al minimo segnale di vita – un rumore quasi impercettibile, l’avviso di un cane, un minimo movimento – tra la calca di vigili del fuoco, soldati e volontari che rovistavano tra le macerie in cerca di superstiti, un pugno chiuso si alzava come una bandieraPugni alzati per il Messico è il risultato di uno degli innumerevoli movimenti spontanei di solidarietà dei messicani dopo la tragedia. Era commovente – e Città Nuova lo scrisse (link articolo del 21 settembre) – la solidarietà di tantissime persone che lasciavano il lavoro e i loro impegni per rimboccarsi le maniche ed aiutare a cercare vita sotto mucchi di cemento e polvere.

Scossi, come tutti i messicani, da quel catastrofico evento, i giovani membri di un gruppo di tuitero nato per scambiarsi contenuti creativi (letterari, fotografici e quant’altro) cominciarono a condividere tweet, foto, scritti, poesie, aneddoti circa ciò che succedeva nelle strade del Messico. Una di loro si illuminò: «Ragazzi, perché non riuniamo in un libro tutte queste cose e lo vendiamo per le vittime e la ricostruzione?». «Perché no? Ti prendo in parola», rispose Yamile Vaena, colei che finì per essere la coordinatrice dell’edizione del libro che ne nacque.

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Puños en alto por México (questo il titolo in spagnolo) è oggi un libro collettivo fatto da 44 giovani, messicani, ma anche argentini, colombiani, costaricani, cubani, statunitensi, spagnoli e libanesi. Tutti vincolati a quel gruppo di Twitter o invitati da qualche loro membro, come Lucía Zamora, salvata dopo 36 ore sotto le macerie di una palazzina. È un documento che commuove e ispira. Tra le storie, raccontate in prosa o poesia, con una foto o un disegno, c’è l’esperienza di soccorritori che hanno lavorato gomito a gomito in catene umane rimuovendo macerie oppure portando acqua, viveri, medicine, pale o picconi, in moto, in bici o come si poteva. Ci sono frammenti di giornalisti e scrittori, la cronaca di un fotoreporter, contributi di disegnatori grafici, produttori di contenuti aziendali o di marketing. Storie di coraggio, resistenza, lutto, amore e speranza, «per ricostruire dalle macerie un Messico che ha reagito dopo la peggiore delle tragedie».

«Concretizzarlo è stato una piccola epopea, ma l’abbiamo fatto davvero col cuore», mi ha confidato Yamile via Whatsapp. E il cuore si sente, per esempio, nel racconto della coordinatrice di un gruppo di soccorritori che ha scorto un bambino nella fila di volontari ai quali distribuiva guanti per rimuovere macerie. Non ce n’erano di una taglia che andasse bene per lui, anche solo approssimativamente. «Posso alzare le pietre senza guanti. Sono forte», insisteva il piccolo.

Tutti i coautori hanno rinunciato in anticipo ai diritti d’autore per devolverli, insieme ai proventi netti delle vendite del libro al progetto di ricostruzione dell’Ong Fondo Unido México. E si tratta di ricostruire prima di tutto case, ma anche «fiducia nelle istituzioni dello Stato» (criticatissime in quei frangenti), e mantenere viva la fortissima esperienza di comunità di quei giorni, che ha dimostrato che «di fronte alla tragedia brilla il meglio dell’essere umano», come ha affermato con l’autorità di chi l’ha visto coi propri occhi Alfredo Villalva, uno dei protagonisti del progetto.

Mexico Earthquake

C’è ancora molto da fare. 250 mila messicani sono rimasti senza tetto quel 20 settembre. Oltre ad autori, correttori, illustratori ed editori, alla squadra di Puños en alto por México si sono aggiunti entusiasti promotori del progetto, che hanno procurato interviste in importanti programmi radio e tv e un lancio del libro in Messico e in Spagna. «In quei giorni, anche grazie a loro, eravamo trending topic», aggiunge grata Yamile. Chiude il libro l’immagine di Lucía estratta «dal ventre della terra» col sorriso, mentre, sentendo la pioggerella di quel giorno sulla pelle, sentiva che stava nascendo di nuovo. Intanto, la gente attorno gridava il suo nome in coro, «a significare: ce l’abbiamo fatta!».

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