Sicilia, i primi passi difficili del nuovo governo Schifani

Inizio in salita per il neo governatore dell’isola, eletto il 25 settembre scorso. Forza Italia si spacca, in Fratelli d’Italia l’esclusione di due maggiorenti scatena le polemiche. Nell’assemblea regionale la maggioranza non ha i numeri e alla vicepresidenza viene eletto Nuccio Di Paola, 5 Stelle.
Il presidente della Sicilia, Renato Schifani. Palermo, 14 ottobre 2022. Foto: Alberto Lo Bianco/LaPresse

Un parto difficile. Il nuovo governo siciliano guidato da Renato Schifani è stato nominato il 15 novembre e presentato ufficialmente l’altro ieri. Dopo le elezioni del 25 settembre sono stati necessari più di 50 giorni per trovare la quadra degli accordi possibili e permettere la nomina dei dodici assessori regionali.

Un parto difficile soprattutto all’interno di Fratelli d’Italia, il partito che ha dominato in questa campagna elettorale, ma che ha dovuto cedere la presidenza a Renato Schifani, per il “veto” imposto da Gianfranco Miccichè alla ricandidatura di Nello Musumeci. Una candidatura, quella di Schifani, proposta dai vertici di Fratelli d’Italia e diventata risolutiva dopo mesi di trattative.

Per la composizione della giunta di governo Schifani aveva indicato un criterio: la nomina di assessori scelti esclusivamente tra gli eletti all’Ars (Assemblea Regionale Siciliana), cioè il consiglio regionale che, solo in Sicilia, è equiparato ad un “parlamento”, erede, pur se con funzioni diverse, di quello che viene considerato, insieme a quello inglese, il più antico Parlamento d’Europa.

Ma il parto è stato lungo e difficile, condizionato dapprima dalla necessità di alcuni riconteggi per determinare i 70 eletti dell’Assemblea, poi dalle scaramucce per la ripartizione dei seggi spettanti a ciascuna forza politica. Il manuale Cencelli, ancora una volta, l’ha fatta da padrone: e la designazione degli assessori ha riservato delle sorprese. Esclusi, all’ultimo minuto, due ex fedelissimi di Nello Musumeci, l’agrigentina Giusy Savarino e il comisano Giorgio Assenza. Al loro posto sono stati designati Elena Pagana, giovane moglie dell’ex assessore alla Sanità, Ruggero Razza, avvocato catanese, rampollo e delfino dell’ex presidente della Regione, ora ministro senza portafoglio nel governo Meloni. La sua designazione sarebbe opera dello stesso Musumeci che ha sacrificato così due dei suoi esponenti più rappresentativi. Il secondo assessore Francesco Paolo Scarpinato sarebbe stato imposto dai vertici romani, pare dallo stesso ministro Francesco Lollobrigida, in piena linea con i dettami di un partito che, pur nella sua breve esistenza, è sempre stato molto centralizzato.

L’esclusione di Assenza e Savarino ha scatenato una ridda di polemiche e ha portato tanta delusione sia nel ragusano che nell’agrigentino: numerosi gli attestati di solidarietà giunti anche da parte di esponenti di altri schieramenti.

Gli altri problemi di Schifani arrivano dal suo stesso partito, Fratelli d’Italia: l’ex ministro Gianfranco Miccichè, da sempre luogotenente di Berlusconi in Sicilia, non è stato riconfermato alla presidenza dell’Ars. La carica è andata al paternese Gaetano Galvagno, vicino al neo presidente del Senato, Ignazio La Russa, anch’egli di Paternò. Miccichè ha già fondato all’Ars un suo gruppo politico, “Forza Italia 2” e ha già fatto intendere di non voler sostenere l’attuale maggioranza. Gli effetti si sono visti sin dalla seduta inaugurale, quando alla forzista Luisa Lantieri, designata quale vicepresidente, sono mancati un bel po’ di voti e ha dovuto cedere il passo a Nuccio Di Paola, 5 Stelle, già candidato presidente nel settembre scorso e giunto quarto dietro l’eletto Schifano, Cateno De Luca e Caterina Chinnici. Fin dalle prime battute quindi, la maggioranza perde una carica che le sarebbe spettata.

La strada comincia in salita, quindi, per il neo presidente siciliano. Ma per lui le grane non sono finite e qualcuna negli anni è già stata messa in programma: Schifani è sotto processo a Caltanissetta, in uno dei filoni del processo Montante, accusato di violazione di segreto. Ma è indagato, per corruzione elettorale, anche il suo vice, il leghista catanese Luca Sammartino, uno dei recordman dei suffragi in Sicilia, eletto per la prima volta all’Ars dieci anni fa, a soli 27 anni. Sammartino è già stato rinviato a giudizio. Di qui a breve, dunque, per i due esponenti politici, le cronache giudiziarie potrebbero affiancarsi a quelle del loro mandato politico.

Strano ma vero! Indagati ma comunque eletti. Eletti per libera scelta del popolo siciliano. Non sarebbe accaduto così qualche anno fa in Italia, quando la coscienza etica era di livello superiore. In ciò sostenuta da una classe politica con saldi principi e visionaria, pur nelle diverse posizioni politiche. Cinquant’anni fa, lo scandalo Lockheed fece dimettere ministri e recise importanti carriere politiche, anche di coloro che vennero poi assolti. A nessuno venne il dubbio che potessero rimanere nei loro posti. E fu tra le cause delle dimissioni del presidente della Repubblica dell’epoca, il napoletano Giovanni Leone.

La Sicilia e le sue mille contraddizioni.

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