Sicilia, arrestato un neodeputato regionale
Ci risiamo. Il vecchio vizio dell’Assemblea Regionale Siciliana non è stato ancora eliminato. Sono passati pochi giorni dall’elezione del nuovo presidente della Regione, Nello Musumeci e una notizia di cronaca giudiziaria già scuote il clima politico dell’isola. L’8 novembre è stato arrestato il neoeletto deputato regionale Cateno De Luca. Messinese, di Fiumedinisi, cittadina di cui è stato sindaco, da candidato era finito nella lista dei cosiddetti “impresentabili” di cui si è parlato a lungo nelle settimane che hanno preceduto il voto del 5 novembre.
I nomi degli “impresentabili”, come qualcuno li ha definiti, erano in varie liste, ma facevano capo soprattutto ad alcuni schieramenti che appoggiavano il presidente eletto Musumeci. Lui, ora presidente, aveva provato ad evitare che tutto questo accadesse. Ai suoi alleati aveva chiesto uno sforzo per formare delle liste pulite e lui stesso aveva chiesto ogni rigore per la sua “Diventerà Bellissima”, salvo poi scoprire, a cose fatte, che uno dei suoi candidati ad Agrigento aveva già subito una condanna penale (in primo grado) per falso. L’appello di Musumeci non è stato ascoltato. E nelle liste sono finiti tanti inquisiti, o persone ritenute comunque contigue ad alcuni ambienti.
Uno tra questi, il sindaco di Priolo, Antonello Rizza, è stato arrestato prima del voto, ora è toccato a Cateno De Luca, un personaggio originalissimo: leader di Sicilia Vera, schieramento da lui fondato, dieci anni fa improvvisò un inatteso spogliarello all’Ars (coperto solo da una bandiera giallorossa siciliana) per protestare contro il leader di Forza Italia Gianfranco Miccichè, con in mano un Pinocchio e una Bibbia e in testa una “coppola”. Il Pinocchio, si sa, è il simbolo delle menzogne, la coppola si fa ricondurre alla mafia, la Bibbia è uno strumento di conversione: uno show per inviare messaggi simbolici con una comunicazione alquanto “teatrale”. Sul capo di De Luca ci sono condanne (non definitive) e denunce, ma lui asserisce di essere una vittima. E nell’Ars (Assemblea regionale siciliana) appena eletta ci sono altri nomi di persone, oggi deputati, coinvolti in vicende giudiziarie.
Quarant’anni fa – ero una bambina – uno scandalo sconvolse la vita della Repubblica. Lo scandalo Lockeed, una tangente “piccola” per degli aerei acquistati per la flotta militare italiana, portò alle dimissioni di ministri e persino del presidente Leone (poi risultato del tutto estraneo), e fermò per sempre le carriere politiche di personaggi che poi furono assolti. Ma lo scandalo fu grande e, con esso, la riprovazione morale degli italiani. Quarant’anni dopo, in Italia è cambiato tutto. Gli anni ’90, Mani Pulite, gli appelli al garantismo hanno fatto mutare gli orizzonti ideali, hanno fatto alzare e poi abbassare, l’asticella della moralità. Oggi sembra tutto consentito, ci si professa vittime e innocenti. Si grida alla persecuzione. Gli scandali avanzano, l’opinione pubblica si indigna, ma poco cambia.
Nell’Ars appena eletta l’ombra dei sospetti entra pesantemente: alcuni inquisiti non sono stati eletti, altri sono entrati a Palazzo dei Normanni. Non saranno anni facili per il neo governatore Musumeci, che si vanta di non aver mai visto, neanche a distanza, un avviso di garanzia. Ha promesso che rispetterà gli alleati, ma che sarà esigentissimo sugli uomini che dovranno far parte della sua giunta. Avrà la forza per imporre questa sua richiesta?
Le elezioni hanno scongiurato il pericolo dell’ingovernabilità, Musumeci ha conquistato 36 deputati. Una ventina sono di Forza Italia, poi c’è l’Udc, la lista dove è stato eletto Cateno De Luca. Ma altri potrebbero aggiungersi: c’è sempre qualche parlamentare disposto a trasmigrare laddove si gestisce il potere (accadde cinque anni fa anche per Rosario Crocetta).
Con l’arresto di De Luca, molti gridano allo scandalo. Lo fanno soprattutto gli esponenti del Movimento 5 Stelle perché il candidato governatore, Giancarlo Cancelleri, aveva puntato tutta la campagna elettorale proprio sulle candidature degli impresentabili ed aveva ripetuto, a più riprese, un richiamo alla necessità di moralizzare la politica. Ora, per lui, perdente nello scontro con Musumeci, ma comunque leader della maggiore forza dell’opposizione (20 deputati) la battaglia riparte sugli stessi temi.
La gente, da casa, tende l’orecchio a notizie che sembrano non interessare più nessuno. Al voto si sono recati meno del 47 per cento degli elettori. I cittadini hanno abbassato le armi, non credono più che sia possibile cambiare qualcosa, guarda agli esponenti politici come “irredimibili”. Un atteggiamento che sembra schizofrenico, perché poi alcuni tra costoro vengono eletti! Le responsabilità sono dei partiti, ma anche dei cittadini elettori. E se le persone perbene stanno a casa è più facile per i “leader” governare da soli e controllare l’elettorato. Sganciarsi, mettersi da parte, rifugiarsi nel privato è il “terreno di coltura” ideale per chi vuole continuare a nutrirsi di pane, politica ed affari! Ma quanti, al momento del voto, hanno fatto un’analisi dettagliata e precisa della situazione ed una disamina attenta delle candidature per dare in modo consapevole il proprio consenso? E su tutto questo il malaffare ha vita facile. Per invertire la tendenza bisogna ricostruire le ragioni della politica. Del vivere civile. Della legalità.