Siamo sicuri di meritarci l’Italia?
Carissimo,
è sabato mattina e mi godo un po’ di pace prima di iniziare i vari giri.
Un piccolo shabbat, a partire dal tuo editoriale online e sull’ultimo numero di «Nuova Umanità», dedicato alle due Italie. Ho letto anche il commento di Moreno Orazi sul sito. Grazie. Non so, prendile come riflessioni-provocazioni del sabato mattina.
Sto leggendo libri diversi, apparentemente lontani come epoche, autori e sensibilità. Eppure, quasi in un tentativo di sintesi, si illuminavano le parole del tuo testo su Le due Italie, che richiamava alcuni aspetti di questi libri.
David Grossman, scrittore israeliano e autore di saggi sulla scrittura come cura per il conflitto (interiore oltre che israeliano-palestinese), mi ha fatto riflettere sulla straordinaria (e immeritata) fortuna di cui la nostra Italia gode da quando ho memoria: la pace. Possiamo pensare, progettare, delinquere (anche), abitare le due Italie, come scrivi, perché abbiamo il lusso di non rischiare la pelle ogni istante, forse.
Eligio Resta, docente di filosofia del diritto all’Università di Roma Tre, mi ha aiutato a mettere a fuoco il senso di responsabilità e di diritto come responsabilità. Non come capacità di esercitare la giustizia, ma come appello alla responsabilità. Alla risposta che ciascuno di noi ha nei confronti dell’altro. Non solo del giudice (che bella l’etimologia di questo termine, da jus dicit, colui che dice, pronuncia il diritto ) nei confronti del colpevole-vittima-carnefice. Ma di tutti noi.
Un caro amico che è al Cairo per lavoro mi ha fatto ricordare l’anniversario della rivoluzione, ieri, che romanticamente in Europa chiamiamo “primavera” e che lui, italiano in Egitto da 2 anni, chiama “autunno e inverno” e non solo lui.
Di nuovo conflitto e pace.
Siamo sicuri di meritarci il Paese che abitiamo? Con tutte le sue contraddizioni.
E di meritarci la Costituzione, che qualcuno ha redatto anche per noi e sulla quale possiamo riflettere grazie a un comico, non per merito di una buona educazione scolastica-accademica?
Non saremo troppo lagnosi perché, forse, da tanto (troppo) tempo nel nostro Paese si vive bene e solo pochi (anche se sono sempre tantissimi) soffrono davvero fame, freddo e sanno di cosa parlano?
Non intendo minimizzare i drammi italiani. Né inforcare a oltranza gli occhiali rosa.
Mi chiedo, però, se non sia opportuno, forse, fare un passo al di là di noi, di ciascuno di noi. Anche della nostra piccola Italia. Dei nostri piccoli drammi, se paragonati a Paesi senza pace e senza democrazia dalla loro nascita. Che sarebbe l’Italia se invece del 150esimo della sua unità con le bandiere avesse celebrato l’anniversario con le bombe? Anche Grossman sostiene che le lotte esterne a Israele sono forse un rimedio, assai cinico, contro le lotte intestine, la corruzione dilagante e la crisi economica-antropologica interna a ogni popolo.
Ma noi siamo un popolo, ne siamo coscienti? L’Italia è davvero capace di meritare questo appellativo? Nessuna pretesa di proporre soluzioni, né risposte.
Solo una provocazione, magari insensata: se facessimo un passo indietro, non dentro, ma fuori di noi? Se restassimo sulla soglia, come Simone Weil mi ha permesso di scoprire, sulla soglia di chi delinque e di chi fa il suo dovere. Di chi parassitizza e di chi lavora. Di chi sfrutta la sua posizione e di chi si rimbocca le maniche. La soglia non come deresponsabilizzazione e invito a stare coi piedi in più scarpe, ma come passo di umiltà, gli uni verso gli altri.
Si sta sulla soglia per chiedere “permesso”, cioè: mi posso addentrare? Posso capire perché e per chi entrare-fare-agire, prima che come-cosa-dove?
Grazie per essere arrivato fin qui a leggere.
Lettere dal fronte quotidiano/2