Siamo proprio all’ultima spiaggia?

Come uscire dalla crisi? Semplice: tassando la prostituzione! Questa la proposta della senatrice Pd Maria Spilabotte. La sensazione è che la politica sia arrivata alla frutta
Camera dei deputati

Analisti economici e Corte dei Conti hanno da tempo indicato le fonti principali dalle quali poter attingere risorse per ridurre il debito dello Stato, riequilibrare i conti, investire per la crescita. Il riferimento è, in primo luogo, all’evasione fiscale ed alla corruzione: due gravi anomalie che pesano sul sistema economico del Paese per centinaia di miliardi, generando profonda ingiustizia sociale. Da contrastare, una volta per tutte, con serietà e priorità assoluta.

In secondo luogo, sono stati individuati molti rivoli di spesa pubblica da ridurre drasticamente. A partire dai costi della politica: riduzione del numero dei parlamentari, con taglio a vitalizi, indennità e privilegi; abolizione/riduzione dei finanziamenti/rimborsi ai partiti; eliminazione delle province; …

E poi ci sarebbero da ri-esaminare scelte di molto dubbia necessità (quali l’acquisto degli F35, e via discorrendo).

Eppure, sul fronte politico, c’è chi sbriglia la fantasia proponendo soluzioni-tampone per uscire dalla crisi. Ad esempio: tassare la prostituzione. Un modo per sviare l’attenzione dalle priorità più serie.

La proposta della senatrice Pd.  È dei giorni scorsi la richiesta avanzata al governo dalla senatrice Maria Spilabotte volta a regolamentare la prostituzione, assimilandola ad una “professione” come tante altre: una prestazione di servizio verso corrispettivo, svolta in modo regolare (diremmo ‘a tempo indeterminato’, e non come mera ‘collaborazione occasionale’) e, quindi, da assoggettare a tassazione.

La richiesta della senatrice, in realtà, avrebbe dovuto semplicemente vertere sull'applicazione di una normativa già esistente sulla tassazione dei lavori sommersi e in nero (il Decreto Bersani del 2006 in materia di liberalizzazioni e competitività).

La proposta della Spillabotte, tuttavia – coerentemente con l’assunto in premessa della proponente –  si spinge ben oltre, prevedendo l’apertura della partita Iva da parte della professionista del sesso, l’iscrizione alla Camera di Commercio, la possibilità di costituire ‘cooperative’ per l’esercizio in comune della ‘professione’, con la possibilità – perché no? – di stipulare convenzioni con i Comuni.

Gli originali ‘punti di forza’ della proposta della senatrice sarebbero poi quelli della previsione del rilascio di un “patentino” (si sosterranno esami?) e persino della “certificazione della qualità” (sorgeranno apposite agenzie?).

Non si ignora il problema.  Prendere (dolorosamente) atto del problema, non implica necessariamente cimentarsi in proposte di soluzione ispirate solo ad una sua visione parziale (a valle) di natura fiscale, trascurando di incidere sugli aspetti ben più gravi da contrastare (a monte).

È davvero triste che lo Stato, per superare il deficit economico, debba pensare di lucrare su queste attività, diventando partner “legale” delle organizzazioni “illegali” dedite al favoreggiamento e allo sfruttamento della prostituzione.

Si può comprendere la buona fede di chi affermi il principio che chiunque abbia delle entrate per la propria attività debba pagare le tasse. Ma bisognerebbe applicare questo assunto in primo luogo a quanti svolgono ‘professioni legali’:  altrimenti bisognerebbe riuscire a far pagare le tasse anche a ladri, truffatori, sfruttatori, che certamente entrate di denaro ne registrano in nero.

Ci scuserete, ma noi preferiamo tenere viva la memoria di don Oreste Benzi, il fondatore della Comunità Giovanni XXIII, che ha speso la propria esistenza per ridare dignità, traendole fuori dal circuito della prostituzione, a moltissime donne vittime dell’azione del racket criminale.

                                                                                

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