Si sospenda luso delle armi
All’Angelus il papa ha chiesto che cessi la guerra e che le vie della diplomazia diventino efficaci. È ora di agire, per evitare il peggio
«Rivolgo un appello agli organismi istituzionali e a chi ha responsabilità politiche e militari per l’immediato avvio di un dialogo. Si sospenda l’uso delle armi», ha detto il papa nell’Angelus di ieri. È una parola chiara, che non lascia spazio a dubbi: le ostilità debbono cessare. E basta.
Dopo una settimana di bombardamenti, la coalizione dei volenterosi, che pure aveva un mandato Onu ampio e chiaro come mai in precedenza, basato sulle risoluzioni 1970 e 1973, naviga nelle nebbie dei reciproci sospetti e scomuniche. Italia (e Germania?) contro Francia e Gran Bretagna, mentre gli Usa che cercano di uscire da una guerra in qualche modo subita, avendo da fare i conti con altre infinite guerre aperte in Iraq e Afghanistan.
In questi giorni noi di Città Nuova non abbiamo mai cessato di affermare che il rumore delle armi è sempre e comunque una sconfitta, pur riconoscendo che Gheddafi è un dittatore di antico pelo, e pur riconoscendo che l’Onu questa volta aveva raggiunto un importante accordo per salvaguardare civili con una vasta no fly zone. Sin dall’inizio delle ostilità avevamo individuato dieci perplessità sulla guerra di Libia e sull’inutilità delle armi. Via via che le giornate di bombardamenti si accumulano, tali perplessità si rivelano sempre più valide. Ci sembrava e ci sembra che non si sia fatto quanto dovuto per evitare la guerra, per contrastare tempestivamente con altre misure non belliche l’irascibilità di Gheddafi, che non si siano sfruttati appieno i canali diplomatici.
Non era questa la posizione di un giornalista che esprimeva la sua opinione, ma l’amplificatore della voce di tanta gente che, vivendo nei Paesi nordafricani, sa bene come stanno le cose, conosce gli a priori negativi che le popolazioni nutrono nei confronti dell’Occidente, sanno quanto sia ancora pesante il fardello del colonialismo, in particolare quello economico. Conoscono l’attesa degli arabi per un intervento europeo costruttivo. Sono le voci di cristiani e musulmani che cercano la via dell’amicizia tra le persone, tra i popoli, tra le religioni, e che non sbraitano né pretendono niente ma lavorano sul campo. Scrive Maria Voce, presidente del Movimento dei focolari in un articolo che verrà pubblicato nel prossimo numero della nostra rivista: «Sembra che l’umanità non impari mai la lezione della storia che ha dimostrato con evidenza che la violenza non può generare che ulteriore violenza e che la guerra non è mai foriera di pace». In questi giorni le parole di mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vescovo di Tripoli, da noi raccolte quotidianamente, ci hanno confermato l’impressione e la convinzione che le armi debbano tacere, anzi non avrebbero mai dovuto cominciare a farsi sentire.
Siamo stati anche criticati per aver chiesto un cessate il fuoco in tempi non sospetti, ce lo sia concesso, ma ora le parole del papa ci confortano non poco, ci appaiono la luce di un faro che debba essere seguito. D’altronde gli stessi attaccanti cominciano a manifestare dubbi su una guerra che pensavano lampo e che non si è rivelata tale, cominciando anch’essi a parlare di azioni diplomatiche.
E allora bisogna ridare fiato alla diplomazia, bisogna che le popolazioni nordafricane sentano che l’Europa è al loro fianco nell’appoggiare i loro aneliti di libertà, e così i siriani, gli yemeniti, i sauditi… Bisogna che si lavori per la pace, tutti assieme, e non con la terribile cacofonia che l’Europa sta di nuovo spargendo in giro per il Mediterraneo: che giurisdizione ha la Nato sul Mediterraneo? Perché l’Europa vuole agire sotto l’ombrello dell’Alleanza atlantica, che sa tanto di atteggiamento aggressivo nei confronti del mondo arabo e nord-africano? Bisogna che si lavori con la Turchia, che potrebbe essere partner in una via soft alla democrazia del sud del Mediterraneo. Bisogna che si ascoltino coloro che vivono sul posto, da mons. Martinelli ai cooperanti, anche a coloro che per lavoro sono in quei Paesi.
E bisogna capire che Lampedusa è ormai un’icona di quello che succederà nei prossimi anni in Europa: non arriveranno più poche migliaia di migranti africani, ma milioni. È inutile pensare ai pannicelli caldi: bisogna ora lavorare per risolvere il caso drammatico di Lampedusa, ma bisogna soprattutto preparare un futuro di convivenza e integrazione che non sarà facile. Bisogna investire nel Nord Africa per far diminuire la “pressione” dell’immigrazione, creando delle chance per gli abitanti di quei Paesi in quei Paesi, senza che debbano prendere i barconi… Rimandarli indietro? La fame e la libertà li spingeranno a costruire all’infinito nuove barche per venire in Europa… Lo vogliamo capire?