Si può prescrivere una “strage di Stato”?

Il ministero della Salute sta inviando lettere alle persone che hanno contratto gravi malattie in seguito a trasfusioni di sangue o emoderivati infetti, rigettando le richieste di risarcimento. La protesta degli ammalati e dei loro parenti
sacche di sangue

Ci sono malati gravi, morti e famiglie finite in serie difficoltà economiche. Tutte vittime di quella che è stata definita una “strage di Stato”. Sono i quasi settemila italiani che tra il 1960 e gli anni '80 hanno contratto malattie come l'Aids e l'epatite B e C, in seguito a trasfusioni di sangue infetto o emoderivati infetti importati principalmente dagli Stati Uniti. Emofilici, thalassemici o semplici emotrasfusi occasionali che lo Stato ha “condannato” perché in quegli anni non ha operato i necessari controlli.

Oggi queste persone sono agguerrite più che mai e pretendono risposte concrete e giustizia. Innanzitutto il risarcimento che la transazione prevederebbe, ma che di fatto non c'è. Perché quello che, da un mese e mezzo circa, alcuni di loro si vedono recapitare sono lettere del ministero della Salute con le quali si rigetta la richiesta di transazione. Il motivo? Le richieste sarebbero state presentate oltre i termini previsti. Lettere che sono come benzina sul fuoco in una vicenda che vede protagonisti vittime e familiari esasperati, eredi che nel frattempo sono succeduti nel contenzioso con lo Stato, che si stanno indebitando in processi che durano ormai da anni. Assieme a loro legali che cercano di chiudere queste pratiche. Come queste due storie che presentiamo, due casi emblematici di quello che sta avvenendo, a Nord come a Sud.

«Nel 1995 – racconta Maria Infanti, palermitana – ho scoperto di aver contratto l'epatite C dopo una trasfusione di sangue, infetto, per le complicazioni del parto. In tutti questi anni ho speso tantissimi soldi. Io sono vedova, vivo di pensione e ho una figlia trentenne a casa. Oggi lo Stato italiano non mi riconosce il diritto al risarcimento perché avrei presentato domanda oltre i termini. Io non sono una malata diversa da tanti altri, io la malattia ce l'ho. Il mio legale continua la battaglia per farmi riconoscere il danno biologico».

«Quella delle vittime di sangue infetto – spiega l'avvocato Ermanno Zancla, legale della signora Infanti e membro del Coordinamento legali vittime di sangue infetto – é una vicenda particolarmente complessa tra cause penali, civili e la transazione appunto. Nel 2007 il ministero della Salute decise di avviare la procedura transattiva con i malati e i loro familiari per evitare di continuare a perdere processi su processi, con relativi risarcimenti anche onerosi. Una procedura che di fatto – aggiunge il legale – ha convinto i clienti a rinviare le cause, nell'attesa di risarcimenti importanti».

L'altra lettera del Ministero è arrivata al Nord, in Piemonte, all'erede di una vittima di sangue infetto nel frattempo deceduta. Duro il commento del legale del familiare, l'avvocato Stefano Bertone dello studio legale Ambrosio e Commodo e membro del Coordinamento legali vittime sangue infetto: «Contesto con forza diversi punti di quella lettera – spiega l'avvocato Bertone –. Uno su tutti il termine di cinque anni tra quando si richiese l'indennizzo (L. 210/92) e quando si intentò giudizio. Il termine corretto deve essere, invece, quello quindici anni in quanto allo scandalo del sangue infetto si applica il reato di epidemia. Peraltro, il mio assistito è morto per epatopatia, il che rende applicabile il termine decennale. Risultano quindi superate sia la prima che la seconda osservazione della lettera del ministero».

«Secondo le nostre stime – commenta il collega Zancla –applicando i criteri fissati nel decreto per la transazione, sarà pagato solo il venti per cento di chi ne ha fatto richiesta. E cosa diremo al restante ottanta per cento a cui per anni abbiamo promesso un risarcimento, così come ci assicuravano i vari funzionari del ministero? E per di più dopo anni di attesa e di spese?» – si chiede sgomento il legale, che aggiunge: «Ritengo peraltro che, a metterla su di un piano strettamente economico, nelle stanze del Ministero qualcuno non si sia ancora reso conto dell'immane contenzioso che una non soluzione del genere comporterà in termini di risarcimenti per la lunghezza delle cause, interesse negativo e ricorsi al Tar. Per non parlare della circostanza che, in questi cinque anni, molti legali hanno continuato a vincere le cause verosimilmente favorevoli, facendo rinviare quelle che invece avrebbero portato un risultato negativo. Per farla breve – conclude Zancla –, il ministero è partito con l'idea di ridurre un enorme contenzioso e potrebbe ritrovarsi con le cause triplicate».

Intanto, contattato su domande specifiche come stima dei risarciti, valutazione economica delle possibili cause, e il perché del termine di prescrizione in cinque anni, il ministero fa sapere con una nota che «Attualmente non è possibile stimare una quantificazione delle istanze ammesse alla transazione. Ciò potrà essere effettuato al termine della attuale fase dell'operazione nella quale l'ufficio Attività amministrativa indennizzi del ministero della Salute sta provvedendo a dare motivata risposta a tutte le singole istanze pervenute attraverso l'esame caso per caso delle singole posizioni».

La nota prosegue spiegando i criteri applicati per le valutazioni dei singoli casi e indica infine ai legali delle vittime le procedure da avviare nel caso di accettazione o di rigetto della richiesta di risarcimento.

«È assolutamente incredibile – commenta l'avvocato Zancla –che il ministero, che possiede da 34 mesi in formato digitale i dati di tutti i malati e dei loro processi, non sia in condizione di dire quanti saranno risarciti».

Su uno dei criteri più contestati da associazioni e legali delle vittime, la prescrizione, interviene Sandra D'Alessio, vicepresidente del Comitato vittime sangue infetto onlus: «Stanno applicando criteri restrittivi. Di fatto verranno risarciti in pochissimi». Lapidario il commento dell'avvocato Bertone: «Non si può applicare la prescrizione al reato di contagio». Va ricordato peraltro che lo stesso ministero agisce civilmente in processi penali nei confronti di ex-funzionari per crimini di epidemia o di omicidio colposo plurimo aggravato, per i quali è prevista una prescrizione di quindici anni, riconoscendo di fatto un tale termine che però nega nella transazione.

Su questo punto, la nota ufficiale del ministero non da risposte. «Questa è una battaglia civile oltre che legale che continueremo con forza – conclude il legale Zancla –. Solo per quello che mi riguarda, negli ultimi nove mesi, mi hanno "lasciato" tre clienti giovani. È una strage che dovrà trovare una risposta».

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