Si piangono i morti

Ancora scosso dai gravissimi attentati di Pasqua, che hanno fatto più di 300 morti, il Paese ricorda i defunti e celebra i funerali, mentre le indagini si indirizzano verso gruppi locali islamisti legati al Daesh

Oggi è giornata di lutto nazionale in Sri Lanka, dopo l’eccidio terroristico di domenica scorsa, giorno di Pasqua. Si sono già svolti molti dei funerali delle vittime ed intanto è arrivato l’annuncio da parte del Daesh che ha rivendicato la carneficina. La notizia è stata annunciata dall’agenzia di propaganda Amaq che, tuttavia, non fa alcun cenno a un coinvolgimento diretto di suoi miliziani. «Coloro che hanno condotto l’attacco che ha preso di mira membri della coalizione a guida Usa e cristiani nello Sri Lanka l’altro ieri sono combattenti del Daesh», si limita ad affermare la dichiarazione diffusa da Amaq.

Una comunicazione di tal genere sembra confermare che i terroristi suicidi e la rete che ha organizzato gli attacchi e li ha coordinati è interna al Paese. Si è parlato con chiarezza di due gruppi islamisti locali, il National Thawheed Jamaat a cui si è aggiunto il Jammiyathul Millathu Ibrahim. Le due organizzazioni – avevano lasciato intendere le autorità dell’isola – avrebbero agito con l’aiuto e l’appoggio di una rete internazionale e probabilmente anche di militanti del Daesh. Il ministro della Difesa, Ruwan Wijewardene, ha comunicato al Parlamento che, in base alle prime indagini gli attacchi «sono stati compiuti come ritorsione dopo quello di Christchurch». Come si ricorderà, infatti, lo scorso marzo un altrettanto efferato atto terroristico aveva lasciato 50 musulmani morti nella città della Nuova Zelanda. In quell’occasione il Daesh aveva incitato i suoi seguaci a vendicare quell’attentato.

Inoltre, è bene tener presente che il Daesh non è nuovo ad attacchi del genere. Infatti, in Egitto si era verificato un attentato di questo tipo il giorno di Pasqua del 2017 e nel 2016 lo stesso era avvenuto a Lahore in Pakistan. Per quanto riguarda gli hotel, attacchi simili erano avvenuti in Tunisi nel 2015, prendendo di mira alberghi a cinque stelle frequentati da stranieri.

Intanto, l’agenzia AsiaNews ha diffuso un comunicato dettagliato sulla giornata di lutto nella cittadina di Katuwapitya, nei pressi di Negombo, località che presenta la più alta concentrazione di cattolici in Sri Lanka. «L’intero villaggio di Katuwapitya è in lacrime – afferma un cronista cingalese –. Le strade e le case sono decorate con bandiere bianche e striscioni, in segno di lutto. Qui sorge la chiesa di San Sebastian. Di tanto in tanto rintocca la campana della chiesa per rendere omaggio a coloro che se ne sono andati. Di fronte a questa immane tragedia gli abitanti del luogo si chiedono: “Che cosa abbiamo fatto per avere una simile tragedia?”. Ma soprattutto, alcuni affermano: “Dovremmo pensare a cosa dobbiamo fare affinché eventi simili non accadano nella nostra società. Siamo cristiani e dobbiamo esaminare questa tragedia in maniera paziente, senza accusare nessuno”».

Fra coloro che hanno visitato la chiesa di questa zona vicino a Colombo, anche vari monaci buddhisti. Uno di loro, il prof. Induragare Dhammarathana Thero, ha dichiarato. «Siamo molto dispiaciuti per questo spietato atto di terrorismo. Non possiamo accontentarci solo di porgere le nostre condoglianze o condannare quest’osceno atto di violenza. Dobbiamo trovare un rimedio per fermare i pericoli. La minaccia e il rischio non sono finiti perché abbiamo avuto notizie dell’esistenza di altri attentatori suicidi. Dove sono? Perché hanno rilasciato alcuni colpevoli collegati a questi incidenti? Non è ancora giunta la fine. Le autorità devono adottare tutte le azioni necessarie a fermare le minacce».

Intanto, l’arcivescovo di Colombo, il card. Malcolm Ranjit, in una intervista rilasciata a Vatican Insider, ha spiegato alcune delle dichiarazioni molto dure che aveva fatto a caldo, subito dopo aver appreso la notizia delle esplosioni nelle chiese. Ovviamente, il cardinale non voleva accennare, come alcuni avevano pensato, alla necessità di punire i colpevoli con la pena di morte, ancora in vigore nello Sri Lanka, anche se non viene applicata da 45 anni. È rimasto però molto fermo sulla necessità che il governo faccia in modo «che la legge sia applicata alla lettera e con tutta la sua durezza. È un atto di giustizia». Inoltre si è appellato alle autorità affinché si possa far luce sull’origine degli attentati e scoprirne i legami con organizzazioni locali ed internazionali.

 

 

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